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Sabato, 27 Aprile 2024
Cronaca

Toglie una cisti e si ritrova con un tendine rotto: dopo 15 anni l'ospedale Cervello condannato a risarcirla

L'operazione avvenne l'8 luglio del 2008 e per tentare di risolvere il problema ne fu necessaria una seconda dopo pochi mesi. La Corte d'appello - che ha ribaltato la sentenza di primo grado emessa nel 2016 - ha stabilito che la paziente fu sottoposta ad un intervento che poteva essere evitato e che le provocò più danni che benefici

Sarebbero bastate delle terapie conservative per curare una piccola cisti al polso, ma i medici dell'ospedale Cervello optarono invece per un intervento chirurgico che avrebbe poi determinato una lesione ad un tendine, rendendo necessaria una seconda operazione. Secondo la paziente, in sintesi, i sanitari al posto di risolvere il suo problema gliene avrebbero provocato un altro più grave. Per questo, sin dal 2013, aveva chiesto di essere risarcita per i danni patiti. Istanza che il tribunale civile aveva rigettato nel 2016 e che è stata poi accolta invece dalla prima sezione della Corte d'Appello, che ha condannato l'azienda ospedaliera Villa Sofia-Cervello a pagare quasi 15 mila euro alla donna. La sentenza ora è anche diventata definitiva.

A 15 anni dal primo intervento chirurgico a cui si era sottoposta L. S., che oggi ha 62 anni, il collegio presieduto da Daniela Pellingra (relatore Ivana Francesca Mancuso) ha accolto le tesi della sua difesa, rappresentata dall'avvocato Carlo Riela, ed ha quindi ribaltato la sentenza di primo grado. Nello specifico, l'azienda ospedaliera è stata condannata a pagare 14.636,55 euro a titolo di risarcimento dei danni, ma anche le spese di lite del primo e del secondo grado (complessivamente 5.860 euro), nonché quelle legate alle due consulenze tecniche espletate durante i due processi.

La vicenda risale a molto tempo fa, visto che L. S. si era sottoposta al primo intervento per rimuovere la cisti l'8 luglio del 2008. Aveva poi avviato la causa civile nel 2013, l'aveva persa 2016 e - solo 7 anni dopo - a febbraio scorso, con la sentenza d'appello ha avuto alla fine ragione.

La donna, nel 2007, si era accorta di avere un pallina sul dorso del polso destro, in corrispondenza del pollice, cosa che la limitava anche nei movimenti. Aveva così fatto una visita ortopedica all'ospedale Cervello dove le era stata prescritta una cura con antinfiammatorio e ghiaccio, ma senza alcun risultato. Era quindi tornata nella struttura e a quel punto i medici le avevano indicato come risolutivo l'intervento di asportazione della cisti, operazione che era avvenuta appunto l'8 luglio del 2008.

Durante l'intervento, però, i medici si erano accorti di una lesione al tendine del pollice e così, oltre ad asportare interamente la cisti, avevano provveduto a curare anche questo problema. L. S. era stata dimessa, ma dopo due giorni era tornata in ospedale perché aveva forti dolori. I sanitari le avevano a quel punto consigliato di attendere per valutare eventualmente di sottoporsi ad un secondo intervento. Nel frattempo la donna aveva fatto anche un percorso di riabilitazione funzionale che tuttavia non aveva dato alcun effetto, visto che non riusciva comunque a chiudere il pugno. A novembre del 2008, quindi, era stata nuovamente operata.

La Corte d'Appello ha disposto una consulenza tecnica per accertare eventuali responsabilità e va detto che i periti hanno rimarcato che il ricorso all'intervento chirurgico dopo l'insuccesso della via conservativa "appare conforme alla buona prassi clinico-assistenziale". Tuttavia, togliendo la cisti si sarebbe "concorso a indebolire la struttura tendinea, determinandone la rottura". Quindi, visto che "una lesione del tendine estensore della mano rappresenta una complicanza molto rilevante, con ricadute cliniche e funzionali particolarmente importanti e notevole impegno riabilitativo (...) è consigliabile accontentarsi di una escissione incompleta della cisti, ma rispettare al massimo il tessuto tendineo", anche perché la recidiva della cisti "è una eventualità clinicamente di scarso rilievo rispetto alla comparsa ex novo di una lesione tendinea".

Infine, sempre secondo i periti - e la Corte ha condiviso pienamente queste conclusioni - "la gestione postoperatoria dopo il primo intervento appare inadeguata stante l'assenza di un sistema di contenzione in grado di proteggere la riparazione". Questi errori sarebbero stati comunque "parzialmente mitigati dal secondo intervento", ma ciò non toglie il danno patito dalla paziente. E da qui il diritto al risarcimento e la condanna dell'ospedale.
 

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