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Domenica, 28 Aprile 2024
Mafia

Il boss stragista Benedetto Spera vuole lasciare la cella e il 41 bis: "E' malato e rifiuta le cure"

Il fedelissimo di Bernardo Provenzano, che compirà 89 anni a luglio, ha chiesto che venga sospesa la sua condanna all'ergastolo. Sarebbe affetto anche da un deficit cognitivo che lo porterebbe a non comprendere la necessità di interventi salvavita. La Cassazione ha rigettato l'istanza: "E' lucido, la sua è una scelta consapevole"

Compirà 89 anni a luglio e le sue condizioni di salute (fisica e mentale) non sarebbero buone. Benedetto Spera, boss di Belmonte Mezzagno, fedelissimo di Bernardo Provenzano (tanto che, quando venne catturato nel 2001, gli inquirenti si aspettavano di prendere proprio "Binnu"), recluso al 41 bis, ha pure deciso di rifiutare alcune cure salvavita. Ha chiesto di ottenere un differimento dell'esecuzione della pena, cioè di sospendere temporaneamente la condanna all'ergastolo per le stragi e di lasciare dunque il carcere. Un'istanza che è stata respinta dalla prima sezione della Cassazione.

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Il collegio presieduto da Stefano Mogini ha ritenuto infatti che dalle relazioni mediche e dalla perizia psichiatrica non emergano patologie tali da non poter essere curate all'interno del carcere. Inoltre, il rifiuto delle cure - è stato lo stesso Spera a spiegare che non ritiene che gli interventi non avrebbero cambiato la qualità della sua vita carceraria - non è, per i giudici, "attribuibile ad ulteriore patologia mentale specifica di Spera, tale da non potersi considerare una scelta consapevole". Da qui l'inammissibilità del ricorso e la condanna per il vecchio boss a pagare sia le spese processuali che a versare 3 mila euro alla Cassa delle ammende.

Per la difesa del mafioso, invece, le sue condizioni di salute "sono di notevole gravità" e il "grave stato di decadimento che affligge il condannato, non gli consente di comprendere la necessità di sottoporsi ai trattamenti salvavita". E il differimento dell'esecuzione della pena era stato chiesto proprio per consentire al figlio tutore di Spera di convicerlo a farsi operare e curare. L'istanza era già stata bocciata dal tribunale di Sorveglianza di Milano lo scorso 17 giugno.

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La Cassazione mette in evidenza che il rigetto di quell'istanza era avvenuto "sulla base delle risultanze della relazione sanitaria del carcere dove Spera è detenuto il 7 giugno, che confermava il quadro clinico già descritto nella precedente relazione del 17 marzo e della relazione psichiatrica del 9 giugno". Nel provvedimento si era stabilito che "le gravi patologie da cui è affetto il condannato sono curabili in ambito penitenziario anche con la possibilità del ricorso a strutture esterne" e che "un intervento, eseguibile in costanza di detenzione, era stato già disposto, tuttavia si era registrato un rifiuto di ulteriori accertamenti e trattamenti da parte del detenuto, che aveva rappresentato ai medici che non intendeva sottoporsi ai proposti interventi salvavita ritenendo che non avrebbero cambiato la qualità della sua vita carceraria". Inoltre "non emergevano deficit cognitivi, ma un decadimento legato all'età che non necessitava di terapia psicofarmacologica".

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La Suprema Corte rimarca come "i trattamenti sanitari nei confronti del detenuto sono incoercibili ma, se potenzialmente risolutivi di condizioni di salute deteriori, in forza delle quali il detenuto medesimo chiede il differimento della pena o una misura alternativa alla detenzione, la loro accettazione si pone come condizione giuridica necessaria alla positiva valutazione della relativa richiesta". Questo principio "risponde ad una evidente esigenza di non strumentalizzare le patologie di cui si sia portatori, in vista del risultato di ottenere il differimento della pena: invero, la condizione di sofferenza autoprodotta dal condannato, realizzata cioè mediante comportamenti come la mancanza di collaborazione per lo svolgimento di terapie e di accertamenti o il rifiuto dei medicamenti e del cibo, non può essere presa in considerazione ai fini del bilanciamento tra esigenze di salvaguardia dei diritti fondamentali ed obblighi di effettività della risposta punitiva, non potendosi pretendere tutela di un diritto abusato ed esercitato in funzione di un risultato estraneo alla sua causa".

I giudici scrivono poi che "nella specie non risulta che il rifiuto sia addebitabile allo stato di decadimento mentale in cui verserebbe il detenuto ultraottantenne" e che "per quanto concerne specificamente la situazione mentale di Spera, è stata rinnovata la perizia psichiatrica e la nuova relazione del 9 giugno 2022 ha descritto il periziando come soggetto lucido, vigile e senza deficit significativi". Dunque "non si può ritenere che il rifiuto della terapia si attribuibile ad ulteriore patologia mentale specifica di Spera, tale da non potersi considerare una scelta consapevole".
 

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