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Cronaca Tribunali-Castellammare / Via Maqueda

Pizzo, violenze e razzismo contro gli stranieri di via Maqueda: confermate 7 condanne

Nel processo d'appello, nato dalla ribellione di un gruppo di commercianti nel 2016, regge l'aggravante di aver agito per odio etnico. Confermata anche un'assoluzione. Per un altro imputato dichiarato il non doversi procedere. Le vittime non avevano esitato a denunciare soprusi ed estorsioni inflitti da una banda di palermitani non affiliati a Cosa nostra

Regge in appello la storica sentenza emessa ad aprile del 2019 con cui un gruppo di palermitani, non affiliati a Cosa nostra, avrebbe imposto il pizzo non solo con modalità mafiosa, ma anche con l'aggravante dell'odio razziale ai commercianti stranieri della zona di via Maqueda. Il processo era nato da una rivolta di massa da parte delle presunte vittime, sostenute poi da Addiopizzo, che avevano denunciato soprusi, violenze ed estorsioni.

La quarta sezione della Corte d'Appello ha prima di tutto confermato l'assoluzione di Vincenzo Centineo (difeso dall'avvocato Roberto Cannata) e concesso dei lievi sconti di pena a Emanuele Campo, difeso dall'avvocato Fabio Cosentino, la cui condanna passa da 6 anni e mezzo di reclusione a 5 anni e mezzo. Per lui, però, l'aggravante dell'odio razziale era già venuta meno in primo grado, mentre adesso è caduta anche quella di aver agito con metodi mafiodi. Sconti anche pder Giovanni Castronovo, da 7 anni a 6 anni e 10 mesi, a Carlo Fortuna, da 4 anni e mezzo a 3 anni e 8 mesi, ad Emanuele Rubino, da 13 anni e 9 mesi a 9 anni e mezzo, a Giuseppe Rubino, da 13 anni e 5 mesi a 9 anni 5 mesi e 15 giorni. 
Per altri due imputati, invece, i giudici hanno lievemente aumentato la condanna: Alfredo Caruso passa così da 5 anni di reclusione a 5 anni e mezzo e Santo Rubino da 8 anni a 8 anni e 5 mesi.

La Corte ha poi dichiarato il non doversi procedere nei confronti di Giacomo Rubino, che era stato condannato a 3 anni e mezzo in primo grado. I giudici hanno infatti riqualificato il reato contestato dalla Procura in quello di percosse per il quale sarebbe stata necessaria una querela di parte, mai presentata. Da qui l'impossibilità quindi di processarlo.

Per Centineo, l'unico assolto, il pg aveva chiesto ed ottenuto la riapertura dell'istruttoria dibattimentale, ma la presunta vittima che sarebbe stata taglieggiata dall'imputato, come già aveva fatto in primo grado, ha negato che questo fosse mai accaduto. L'accusa aveva chiesto in appello una condanna a 6 anni e mezzo, che i giudici hanno tuttavia respinto.

La ribellione degli stranieri era culminata a maggio del 2016 con l'operazione "Maqueda" della squadra mobile. I commercianti non avevano esitato poi a testimoniare in tribunale, davanti alla terza sezione presieduta da Daniela Vascellaro, e a raccontare del clima "allarmante e terrificante", "da caccia alle streghe", come era stato definito dai pm, che regnava nei dintorni di Ballarò. Un clima di terrore, fatto anche di tante violenze gratuite, che sarebbe stato imposto soprattutto dai fratelli Rubino. I giudici per la prima volta avevano riconosciuto la sussistenza dell'aggravante razziale per le estorsioni.

La rivolta al pizzo non era arrivata per caso, ma dopo il tentato omicidio di Yusupha Susso, il giovane gambiano che sopravvisse per miracolo al colpo di pistola alla testa sparato proprio da Emanuele Rubino (condannato per questo in un altro processo) in via Fiume. I commercianti erano stati poi sostenuti anche da Addiopizzo, parte civile nel processo con il Centro Pio La Torre, rappresentati dagli avvocati Salvo Caradonna, Maurizio Gemelli, Serena Romano, Ettore Barcellona e Francesco Cutraro.

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