rotate-mobile
Mafia Borgetto

Un anno e 8 mesi non bastano per depositare le motivazioni della sentenza: tornano liberi 3 boss

I mafiosi, tutti di Borgetto, erano stati condannati in appello a gennaio dell'anno scorso e sono stati scarcerati per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Furono arrestati nel 2016 con il blitz "Kelevra", in cui venne coinvolto il giornalista Pino Maniaci. E anche per lui, processato a parte, a 17 mesi dal verdetto il provvedimento non è pronto

A un anno e 8 mesi dalla sentenza ancora non sono state depositate le motivazioni e così tre mafiosi sono tornati liberi per decorrenza dei termini di custodia cautelare. E' successo nell'ambito del processo "Kelevra", quello contro la cosca di Borgetto, in cui era stato coinvolto anche il giornalista Pino Maniaci. E anche per lui, processato a parte e condannato in primo grado a un anno e 5 mesi per diffamazione (era caduta l'accusa più grave, quella di estorsione), le motivazioni della sentenza di primo grado - a un anno e 5 mesi dal verdetto - non sono state ancora depositate, col rischio che scatti anche la prescrizione.

A tornare in libertà per decorrenza dei termini sono gli esponenti dei due clan che si erano fronteggiati a Borgetto nel 2013 e che poi avevano trovato una pace conveniente per tutti, ovvero Giuseppe Giambrone, il figlio Francesco, e il boss Nicolò Salto. Un quarto imputato, Antonio Salto, è libero da sempre perché non si riuscì mai ad arrestarlo e nelle more è stato dichiarato latitante. I quattro in primo grado avevano avuto pene pesantissime: 27 anni a Nicolò Salto, 24 a Giuseppe Giambrone, 17 ad Antonio Salto e 16 a Francesco Giambrone.

La seconda sezione della Corte d'Appello - quella che a distanza di un anno e 8 mesi non ha ancora depositato le motivazioni - il 15 gennaio dell'anno scorso, aveva rivisto al ribasso le condanne: 18 anni a Nicolò Salto, 15 a Giuseppe Giambrone, 12 ad Antonio Salto e 9 a Francesco Giambrone. Per via dei ritardi, gli imputati sono tornati liberi.

Erano tutti coinvolti, così come Pino Maniaci, nel blitz dei carabinieri "Kelevra" del maggio del 2016, che si concentrava appunto sulla faida mafiosa a Borgetto. La posizione del giornalista di Telejato era stata poi stralciata proprio perché nulla aveva a che vedere con Cosa nostra.

I due processi, però, hanno un destino comune in relazione ai ritardi nel deposito delle motivazioni. Per Maniaci la Procura aveva chiesto 11 anni e mezzo, ma alla fine il giudice della seconda sezione del tribunale monocratico, Mauro Terranova, l'8 aprile dell'anno scorso, aveva inflitto solo un anno e 5 mesi, ritenendo fondata solo l'accusa di diffamazione e non quella di estorsione. A 17 mesi dalla sentenza, però, ancora non è dato sapere il perché di questa decisione. Visto poi che i fatti sono risalenti nel tempo, il rischio è che il reato vada in prescrizione durante l'eventuale processo di appello.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Un anno e 8 mesi non bastano per depositare le motivazioni della sentenza: tornano liberi 3 boss

PalermoToday è in caricamento