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Cronaca Sperone

La storia di Kilo KG, il rapper che canta lo Sperone: "Qui non c'è solo spaccio, tutti possono riscattarsi"

Origini umili, 30 anni, diploma classico e mille lavoretti, l'artista è cresciuto nel quartiere periferico "abbandonato da tutto e tutti", ma lancia un messaggio chiaro: "E' difficile crescere nel degrado eppure un'alternativa c'è sempre: per me è stata la musica, ognuno deve cercare e trovare la sua"

Degrado, "munnizza", palazzoni fatiscenti, servizi assenti: lo Sperone è una giungla di cemento, di cui si parla quasi sempre per le retate contro lo spaccio e di cui le istituzioni sembrano ricordarsi soltanto durante le campagne elettorali. Un mondo dove non sembrano esserci alternative. "E invece l'alternativa c'è e sta a ciascuno di noi cercarla e trovarla", ribatte sicuro Roberto Costantino, in arte Kilo KG, 30 anni, che la via d'uscita l'ha trovata giovanissimo nella musica: la speranza e il riscatto sociale per lui si chiamano hip hop. E, proprio attraverso il suo lavoro e il suo percorso, vuole lanciare un segnale chiaro a chi "da lì non è mai uscito e neanche riesce ad immaginarla un'alternativa: con coraggio ognuno può trovare la sua strada".

Il suo ultimo album (distribuito da Believe) si chiama non a caso "Facile mai", "perché non mi ha aiutato nessuno, ho solo avuto la forza di credere nella mia passione, di non stare mai fermo e vorrei che questo fosse da stimolo per tanti ragazzi". Ha fatto un po' di tutto Kilo KG: diplomato al liceo classico ("mio padre mi ha vietato categoricamente di fare altro e se non andavo a scuola erano guai"), è stato commesso, ha lavorato nei ristoranti e, durante la prima fase della pandemia, faceva consegne a domicilio. Sempre con un'unica colonna sonora, l'hip hop, e "senza dimenticare da dove vengo, dalla strada".

Il dovere di salvare lo Sperone: il commento

Una famiglia umile quella del rapper, nonno operaio della Fincantieri "e analfabeta", padre parrucchiere e madre baby sitter, "entrambi con la terza media, mio fratello maggiore - rimarca - è stato il primo a prendere una laurea". Cresciuto allo Sperone, i suoi genitori si sono poi spostati in un'altra parte della città: "Avevo 11 anni quando siamo andati via da lì, ma di fatto ho sempre continuato a tornarci perché ci vivono i miei nonni. Conosco tantissimi ragazzi e molti mi rispettano, ma non in senso mafioso o per essermi imposto con l'arroganza come spesso accade nelle periferie: apprezzano ciò che faccio, perché è vero, sincero, e sono felici che possa far vedere un'altra faccia dello Sperone". Il riflesso positivo delle difficoltà, quello di chi da uno svantaggio sa cavare la sua più grande forza, ribaltando copioni già scritti e allontanadosi da sentieri già battuti, come il fiore che imprevedibilmente sboccia nel cemento e a dispetto delle condizioni più sfavorevoli.

Kilo KG sa quindi molto bene cosa significa crescere allo Sperone: "Un ragazzino qui vede lo spaccio, per esempio, nessuno gli insegna il valore del bene comune, manca l'educazione civica. Difficilmente si riesce ad avere fiducia nello Stato quando si vive qui, dove c'è uno strato sociale completamente abbandonato da tutto e da tutti. I giornali parlano dello Sperone solo in relazione agli arresti e alla droga, eppure anche in questo contesto ci sono delle cose positive". E aggiunge: "Io non do la colpa a nessuno se le cose stanno così, anche perché un certo atteggiamento di strafottenza è molto diffuso in tutta la città, compreso il centro definito 'bene'. La 'colpa' è al 50 per cento: c'è una parte della popolazione che obiettivamente non fa nulla per riscattarsi, che cerca solo di 'sgubbare' con il reddito di cittadinanza, per esempio, e che non rispetta le regole elementari del vivere civile. Ma c'è pure tanta gente a cui è lo Stato a non garantire un'alternativa, semplicemente lasciandola senza lavoro e nella disoccupazione".

Lui dice di aver avuto la musica, che la sua formazione classica "è stata fondamentale" anche per scrivere testi e cercare di trasformare in poesia la realtà (non solo apparentemente) più squallida: "Sono stato sempre attratto da tante cose, ho sempre letto ed è stato mio fratello a farmi conoscere l'hip hop, ma - lo ribadisce - nessuno mi ha regalato niente". Insomma, l'alternativa non cade dal cielo, bisogna anche costruirsela e spesso è molto più rivoluzionario leggere un libro, seguire i propri sogni senza (im)porsi limiti, che ricorrere alla violenza.

"Anche io ho fatto degli errori  - dice ancora il rapper - ed ho capito che certe strade non portano a nulla. Io voglio riuscire a vivere della mia musica, non voglio dei soldi senza fare uno sforzo, deve anche darmi una soddisfazione personale: ho perso tanti amici per colpa della droga, altri che si sono rovinati dietro alle rapine e qualcuno, non vedendola l'alternativa, ha preferito persino farla finita. Io credo nella mia passione. E ho fame, non mi accontento mai: non dimentico da dove vengo e non voglio fare lo sbruffone, ma - conclude - voglio vedere la mia faccia sui manifesti, trasferirmi a Milano per crescere ancora, essere considerato come un esempio e una speranza per intravedere altre strade da parte di chi oggi una speranza non ce l'ha".

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