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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca

Lo chef Mario Di Ferro: "Non sono uno spacciatore, nella città che mi ha giudicato il 70% tira cocaina"

L'intervista a PalermoToday dopo la sentenza: "Ho sbagliato perché ho aiutato degli amici, quando si abusa di droghe si cade in questi giri. Quello che è successo a Villa Zito accade ogni giorno in tanti altri locali". E aggiunge: "In molti mi hanno sostenuto, mandandomi pure la spesa a casa, e altri insultato. Voglio andare avanti e tornare a fare il tavernaro"

"Tutta la Palermo che mi conosce sa che non sono uno spacciatore perché, parliamoci chiaramente, se avessi voluto arricchirmi con la droga, avrei fatto il narcotrafficante, non lo spacciatore. Ho aiutato degli amici, perché funziona così e ho sbagliato. Ma in questa città il 70 per cento della popolazione fa uso di cocaina, senza distinzioni di classe sociale, anche tra quelli che mi hanno attaccato". Mario Di Ferro, lo chef che ha cucinato per due Papi, per il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan e per Hillary Clinton, solo per citarne alcuni, e che poi la primavera scorsa è stato arrestato, ora che ha patteggiato la pena vuole buttarsi il passato alle spalle, come racconta a PalermoToday.

Lo chef Mario Di Ferro patteggia la pena: non andrà in carcere

"Ho fatto uso di cocaina - dice - e queste cose capitano, si crea una complicità tra le persone, e quelle che tirano sono davvero tante a Palermo, per cui ci si vede, oggi la recupero io, domani la recuperi tu, si finisce in questo giro... Quello che è successo a Villa Zito si ripete quasi ovunque quotidianamente. Per questo dall'inizio ripeto che non sono uno spacciatore, ho solo aiutato degli amici...". E continua a ribadirlo: "Ho sbagliato, ho sbagliato ed ho chiesto anche scusa. Adesso voglio chiudere questa storia, guardare avanti e tornare a fare non lo chef, ma il 'tavernaro', perché questo sono sempre stato, e spero che il tribunale me lo consentirà".

Con il suo avvocato, Claudio Gallina Montana ("è stato per me come un fratello, mi è stato vicino umanamente e professionalmente"), Di Ferro ha patteggiato 4 anni, cosa che gli consente di accedere a misure alternative per scontare la pena fuori dal carcere. "Ho passato 6 mesi chiuso in casa durante i domiciliari, senza poter vedere nessuno - spiega - alzandomi la mattina senza avere nulla da fare, è stata un'esperienza terribile che non auguro neanche al mio peggior nemico. In compenso - dice ridendo - conosco tutta la saga di Don Matteo e dell'ispettore Barnaby". La cucina ("la mia più grande passione") è stata anche questa volta un'ancora di salvezza: "Sì, cucinavo, le cose semplici che amo fare... Io non sono uno chef, sono una nonnina che cucina. Ho imparato a suonare il pianoforte, ma è stato davvero molto pesante". 

E per uno che è abituato a stare in mezzo alla gente, a vivere di notte, ad allietare le persone, a farle ridere e stare bene, non è difficile da credere che restare isolato sia stato una specie di calvario. Di Ferro non nasconde che proprio questo stile di vita l'abbia portato ad abusare di cocaina e alcol: "Io ero sempre il clown sulla scena, la gente si aspettava da me che la facessi ridere e divertire... Magari la tirata di coca o il bicchiere in più ti aiutano a non perdere il ritmo...". Sta di fatto che "mentre ero ai domiciliari non avevo un euro e a casa mi arrivavano le buste con la spesa, è stata fatta anche una colletta da tante persone che mi conoscono e che sanno benissimo che io non sono uno spacciatore". E tiene anche a precisare che "sia la squadra mobile che la Procura mi hanno trattato come un signore".

Mario Di Ferro

Tuttora Di Ferro è seguito dal Sert: "E' un percorso che ho voluto iniziare io, da solo, quando mi hanno arrestato - racconta - non mi è stato imposto dal tribunale. Quello che vedo lì, persone perdute, con problemi veramente gravi, un mondo parallelo... Le dottoresse che mi seguono mi hanno detto: 'Tu qui sei il migliore' e io le ringrazio tutte per l'aiuto che mi stanno dando". Di Ferro, come ricostruito dagli investigatori, recuperava la droga da Gioacchino e Salvatore Salamone, già condannati in passato per spaccio: "Sono persone che conosco da una vita - spiega ancora - e sono persone che non hanno avuto una vita facile. E per queste persone lo Stato non c'è e sono costrette ad arrangiarsi. Credo che a un certo punto, visto che non viene mai concessa loro una seconda possibilità, lo Stato li induce addirittura a delinquere". Lo stesso Stato che quasi certamente a lui, invece, una seconda possibilità la darà.

Quando venne arrestato la notizia fece naturalmente molto scalpore e si scatenò un putiferio anche sui social: l'opinione pubblica si divise tra chi difendeva a spada tratta lo chef nonostante le gravi accuse e chi lo condannava senza appello prima ancora che iniziasse il processo, come purtroppo succede ormai di fronte a ogni inchiesta giudiziaria: "Questi sono, come diciamo noi, nemici della contentezza, gente frustrata che si sfoga in questo modo. Ho letto tanti commenti veramente sgradevoli, non ho risposto a nessuno. Il palermitano è così, provinciale e invidioso. Credo che i social dovrebbero servire per divertirsi...". Diventano sempre più spesso un'ulteriore gogna in cui a stabilire se si è colpevoli o innocenti sono dei perfetti sconosciuti che neanche conoscono gli atti delle indagini. Di Ferro è una persona che vuole ripartire, si capisce dal fatto che ha dei progetti, ma che è forse ancora stordita, incerta: "Amo la gente, amo il mondo -  conclude - ho sempre dato senza ricevere nulla e spero che mi vada bene...".
 

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