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Cronaca Libertà / Viale Lazio

Troppo rumore dalla discoteca e una famiglia fa causa, ma la sentenza definitiva arriva dopo 24 anni

Il processo iniziò nel 1998 e fu avviato da alcuni residenti del palazzo di viale Lazio in cui si trovava il "Settimo Cielo", che ormai non esiste più. Chiedevano i danni al gestore del locale ma anche ai proprietari dell'immobile. Per la Cassazione, però, nessuna responsabilità può essere attribuita a questi ultimi

E' passato così tanto tempo che la discoteca che rendeva la vita impossibile agli inquilini di un palazzo ha smesso da anni di diffondere musica a tutto volume e di accompagnare con potenti bassi le notti dei palermitani. Bisogna avere per forza qualche capello bianco, infatti, per ricordare il "Settimo Cielo", che si trovava in un seminterrato di viale Lazio. E ci sono voluti ben 24 anni per chiudere definitivamente il contenzioso tra una famiglia - che avviò la causa civile nel lontano 1998 - i titolari del locale che non esiste più e i proprietari dell'immobile. 

La Cassazione ha stabilito una volta per tutte che il risarcimento del danno per le "emissioni sonore intollerabili" spetti soltanto ai gestori e che nessuna responsabilità può essere attribuita invece ai proprietari. Una decisione, quella della terza sezione civile della Suprema Corte, presieduta da Angelo Spirito, che arriva dopo un quarto di secolo. E proprio il tempo trascorso ha fatto sì che cambiassero anche gli orientamenti giurisprudenziali sul tema.

Inizialmente, infatti, il tribunale aveva condannato al risarcimento del danno soltanto i gestori del "Settimo Cielo", escludendo ogni responsabilità a carico dei proprietari dell'immobile; in appello, invece, i giudici avevano stabilito che i proprietari "dovessero rispondere dei danni causati dalle intollerabili emissioni acustiche provocate, in particolare per non avere svolto alcuna azione nei confronti del conduttore (ivi compresa la minaccia del contratto, per inadempimento dell'obbligo di non arrecare danni a terzi) volta a dissuaderlo dalla prosecuzione dell'attività molesta". Una sentenza che la Cassazione confermò - a 20 anni dall'inizio del processo - il 15 giugno del 2018 e che ora, in seguito ad un'ulteriore impugnazione per revocazione da parte della famiglia, ha ritenuto corretta.

Il "Settimo Cielo", in stile arabeggiante, non rimase in attività per tantissimi anni, ma in quel frangente, mentre allietava le notti di alcuni, era tutt'altro che un paradiso per altri, di cui disturbava pesantemente il sonno, come i residenti del palazzo in cui si trovava il locale che avevano quindi deciso di fare causa. Non immaginando probabilmente di dover attendere più di due decenni per chiudere la questione.

Secondo i giudici che in Cassazione confermarono nel 2018 l'estraneità dei proprierari dell'immobile "l'opera di dissuasione (nei confronti degli inquilini che gestivano la discoteca, ndr) se fosse stata svolta avrebbe potuto al massimo condizionare il contegno del conduttore, non l'evento di danno", quindi "quella omissione non poteva ritenersi concausa del danno lamentato". Peraltro tra i danni che erano stati riconosciuti in primo grado c'era anche quello patrimoniale, che era consistito nel deprezzamento dell'immobile in cui viveva la famiglia che aveva fatto causa.

I residenti del palazzo di viale Lazio hanno infine impugnato nuovamente la sentenza in Cassazione, ma stavolta per revocazione (una procedura complessa e rara, in cui vengono sollevati errori di fatto e non di diritto da parte dei giudici). Ma la Suprema Corte ha ritenuto inammissibili tutti i motivi, ritenendo quindi che i proprietari dell'immobile non debbano pagare alcun danno.

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