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Mafia

Addosso all'autista di Messina Denaro anche "pizzini che potrebbero aprire nuovi scenari"

Nell'ordinanza con cui il gip ha disposto il carcere per Giovanni Luppino emerge anche che l'uomo aveva con sé due cellulari spenti e in modalità aereo. Materiale sul quale sono in corso accertamenti. Il giudice ritiene falsa la versione fornita dall'indagato

Due cellulari "entrambi spenti ed in modalità aereo", un coltello ma pure pizzini "dal contenuto oscuro e di estremo interesse investigativo" e che "potrebbero schiudere lo sguardo a nuovi scenari", questo aveva con sé Giovanni Luppino, l'autista del boss Matteo Messina Denaro, bloccato con lui lunedì scorso alla clinica Maddalena, e per il gip Fabio Pilato, che ha disposto il carcere, l'indagato - a dispetto della difesa che ha fornito - sarebbe "un soggetto a stretto contatto con il noto latitante" e  "può senz'altro presumersi che sia custode di segreti e prove che farebbe certamente sparire se lasciato libero".

"Un perfetto sconosciuto", lo aveva definito il procuratore Maurizio De Lucia, che durante l'interrogatorio ha spiegato al gip che non avrebbe saputo che l'uomo che ha accompagnato quella mattina all'ospedale fosse il mafioso, sostenendo che altrimenti non lo avrebbe mai aiutato. Per Luppino, così ha raccontato, quello sarebbe stato "il signor Francesco", che Andrea Bonafede (l'uomo che ha prestato l'idendità all'ex superlatitante) gli avrebbe presentato come suo cognato. Quella mattina alle 6 - così ha riferito l'indagato - il "signor Francesco" si sarebbe presentato da lui e gli avrebbe chiesto un passaggio per potersi sottoporre a delle cure. "La versione dei fatti fornita dall'indagato è macroscopicamente inveritiera - scrive senza mezzi termini il giudice nell'ordinanza - non essendo credibile che qualcuno, senza preavviso, si presenti alle 5 del mattino a casa di uno sconosciuto per chiedergli la cortesia di accompagnarlo in ospedale per delle visite programmate, in assenza di una situazione di necessità e urgenza".

La difesa dell'autista: "Non sapevo fosse lui"

Ed è il comportamento di Luppino a non convincere il gip: "Al di là di ogni considerazione logica, sono le risultanze investigative a fornire il dato decisivo, nella misura in cui il possesso del coltello e dei due cellulari - entrambi tenuti spenti ed in modalità aereo - suggeriscono che Luppino fosse talmente consapevole dell'identità di Messina Denaro da camminare armato e ricorrere ad un contegno di massima sicurezza per evitare possibili tracciamenti telefonici". Insomma, per il giudice sono pienamente fondate le accuse mosse dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Pierangelo Padova ed Alfredo Gagliardi, che coordinano l'inchiesta. Un'ulteriore prova del coinvolgimento di Luppino è che "ha concluso le sue dichiarazioni sostenendo di essersi reso conto della vera identità di Messina Denaro soltanto dopo l'intervento dei carabinieri, quando aveva chiesto a 'Francesco' se cercassero lui, ottenendo in risposta le testuali parole: 'Sì, è finita'".

Per il giudice Luppino è l'autista di Messina Denaro ed "è noto che il ruolo di autista costituisce compito estremamente delicato e strategico nell'organizzazione interna di Cosa nostra, soprattutto per le esigenze di cautela e protezione dei capimafia. Ne consegue che l'incarico viene assegnato a persone di massima fiducia, in grado di garantire segretezza, sicurezza ed affidabilità degli spostamenti. Una simile funzione tocca il massimo livello di accortezza se poi il soggetto accompagnato sia addirittura il vertice assoluto dell’organizzazione criminale, costretto a destreggiarsi in un trentennale stato di latitanza".

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E "non v'è dubbio che Luppino abbia consapevolmente e diligentemente adempiuto a tale mansione fiduciaria". Perché "basterebbero le semplici qualità soggettive di Messina Denaro ad escludere la versione che questi possa essersi affidato ad un ignaro quisque de populo, incontrato di sfuggita sei mesi addietro" per "avvalorare la tesi accusatoria che Luppino sia stato prescelto per uno spostamento ad alto rischio, proprio in virtù della massima fiducia che il capo mafia riponeva in lui".

"Aspetti di allarme sociale" e soprattutto "un  concreto e attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova nell'ambito di un'operazione ancora in corso con la ricerca dei 'covi' e della rete dei fiancheggiatori che hanno reso possibile una latitanza così lunga" sono i motivi per cui sussitono le esigenze cautelari secondo il giudice. Inoltre ci sarebbe anche "il pericolo di fuga in quanto l’essere a stretto contatto con un soggetto in grado di mantenere lo stato di latitanza per ben trent’anni, postula la conoscenza anche della rete creata per sfuggire alla giustizia, di cui Luppino stesso potrebbe avvalersi per darsi alla macchia".

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