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Cronaca Montepellegrino / Via Brigata Aosta

Sparatoria di via Brigata Aosta, confermate le tre condanne per tentato omicidio

Nove anni e 8 mesi per Silvestro Sardina, per il padre Francesco Paolo e il cugino Juzef. Caduta l'aggravante dei futili motivi. Dietro i colpi di pistola esplosi all'indomani di Capodanno 2018 fuori e dentro il "palazzo di ferro" una storia di amore e tradimenti

Uno sconto di pochi mesi per le condanne relative alla sparatoria di via Brigata Aosta. La corte d’appello del tribunale di Palermo ha ridotto le pene inflitte a gennaio scorso a Silvestro Sardina (22 anni), al padre Francesco Paolo (43) e al cugino Juzef. Caduta l’aggravante dei futili motivi, ciascuno di loro è stato condannato a 9 anni e 8 mesi di carcere per tentato omicidio.

L’episodio che rischiò di trasformarsi un bagno di sangue risale al 2 gennaio 2018. Ad annunciare la sparatoria, frutto di una storia amore e tradimenti, fu una telefonata anonima fatta da una cabina telefonica: “Correte che in via Montalbo, c’è una sciarra e sono con le pistole in mano. Correte subito perché ci saranno più omicidi”.

L’obiettivo era Gaetano La Vecchia, che abita nello stesso palazzo che si trova nella zona di via dei Cantieri. Durante la sparatoria, iniziata in strada e finita lungo la tromba delle scale, Silvestro Sardina avrebbe esploso almeno 13 colpi (circa una quarantina i bossoli repertati complessivamente) con una pistola semiautomatica calibro 9 e un revolver calibro 38. I primi proiettili hanno raggiunto casa di Francesco Fragale.

Poi Sardina sarebbe salito per le scale raggiungendo l'abitazione della madre, Teresa Caviglia, colpendola di striscio a un braccio. A quel punto arriva al quarto piano dove abita proprio La Vecchia, cognato di Fragale, che viene raggiunto nella zona dello scroto.

"Se scopro chi è stato pure i figli gli ammazzo" | VIDEO

Una carneficina mancata alla quale hanno assistito numerosi testimone, tra cui alcuni bambini. A illuminare le indagini è stata la figlia di uno dei feriti, nonostante la mamma e la nonna l’avessero messa in guardia: “Mi avevano detto di non raccontare quello che avevo visto e saputo perché altrimenti mi rinchiudevano in una comunità”. Fondamentali anche le intercettazioni registrate dagli investigatori della Squadra Mobile.

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