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La riffa di Cosa nostra, così il boss imponeva l'acquisto dei biglietti: "Paga o abbuschi"

Dall'operazione "Mani in pasta" della guardia di finanza emerge come all'Acquasanta Giovanni Ferrante avrebbe gestito anche le riffe. I soldi ricavati sarebbero serviti per mantenere le famiglie dei carcerati. Tutti i commercianti dovevano comprare i numeri per garantire liquidità alle casse del clan

Non solo pizzo, ma anche l’acquisto forzato dei numeri delle varie riffe di quartiere organizzate dal boss Giovanni Ferrante. I commercianti, come emerge dall’operazione “Mani in pasta” della guardia di finanza, non avrebbero potuto sottrarsi, dovevano scommettere obbligatoriamente, comprare i biglietti e parlare poco, altrimenti, come diceva Ferrante, “abbuscano”. I soldi ricavati dalle lotterie clandestine sarebbero serviti soprattutto per mantenere i carcerati e, quando mancava liquidità, bastava organizzare una riffa per risolvere il problema. A questo tipo d’affare, secondo il procuratore aggiunto Salvatore De Luca ed i sostituti Amelia Luise e Dario Scaletta, avrebbero partecipato, oltre a Ferrante, anche il figlio, Francesco Pio, Liborio Sciacca e Fabrizio Basile, detto “Fabio u fasuluni”.

La riffa per pagare la bolletta

Nei casi di emergenza, la riffa si sarebbe rivelata uno strumento utilissimo per il clan dell’Acquasanta. Ferrante spiegava il 5 febbraio del 2016: “Mi è arrivata una lettera dal Pagliarelli che ad un amico mio, minchia, gli hanno tagliato la luce a sua moglie! Di 380 euro! Gli ho detto a Francesco (suo figlio, ndr) di prendere un blocchetto di numeri, arriffalu, i soldi che si devono far avere a sua moglie”.

L’imposizione dei biglietti

Ovviamente l’acquisto dei biglietti non sarebbe stato il frutto di una libera scelta, ma un’imposizione. Il figlio di Ferrante si lamentava: “I cristiani non se ne prendono, io mica li posso pregare per prendersi i numeri?”, ma Sciacca, più esperto, gli spiegava: “Ma tu non devi pregare nessuno”, bastava solo far sapere che quella vendita era riconducibile a suo padre, il boss Giovanni Ferrante: “Dici mio padre: ‘Qua ci sono i numeri’ e basta”.

“E’ rimasto senza numeri”

E’ proprio Sciacca a riferire la contabilità di quella riffa a Ferrante che gli chiede: “I soldi tutti te li hanno dati? Trecento euro ce li hai a casa?” e l’altro risponde: “Quello mi deve dare Santo 20 euro”. Ferrante spiega poi che il figlio ha venduto tutto: “Non gli sono rimasti neppure i numeri, non gli è rimasto niente, ha messo insieme 300 euro”.

“Facciamo una bella tirata”

A gennaio del 2016 Sciacca avrebbe organizzato un’altra lotteria: “Stiamo facendo una bella tirata, sto riffando mille euro… Faccio da lunedì a domenica, perché il tempo ci vuole con 2 mila numeri”. Ferrante avrebbe poi istruito anche “Fabio u fasuluni”: “Vieni qua Fabio – gli diceva – dammi il blocchetto devo fare il giro: ‘Sono i numeri della festa è il primo numero dell’estrazione di Palermo per domani 5 euro’, faglieli avere a chiunque e gli dici che sono i miei, che servono per la festa, fagli prendere il numero”.

“Servono per i carcerati”

Un altro “impiegato” delle lotterie si lamentava con Ferrante: “Il problema è che io vendevo 2 numeri 5 euro… Ora io quando vengo da te 2 numeri 5 euro, io non è che gli dico che sono i tuoi...” e Ferrante lo riprendeva: “E diglielo alle persone” e poi precisava: “Mi servono per campare due carcerati, lo hai capito?”.

“Se non giochi abbuschi”

Ferrante avrebbe imposto anche ad un suo cugino non meglio identificato l’acquisto dei numeri, poiché già esonerato dal pagamento del pizzo. Incaricava Sciacca di andarci: “Ci vai subito, gli dici: ‘Tuo cugino sono 5 settimane solo e te le devi prendere, perché qua, quanto paghi tu al mese? O due volte l’anno quanto esci? Niente e allora prenditi i numeri’”. Per Ferrante tutti dovevano acquistare i numeri altrimenti “abbuscano” perché “dobbiamo campare”.

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