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Sabato, 27 Aprile 2024
Mafia

Ergastolo per il boss Nino Madonia: "E' lui il killer dell'agente Nino Agostino e della moglie Ida"

A quasi 32 anni dal duplice omicidio il gup Alfredo Montalto ha condannato il mafioso di Resuttana che ha scelto di essere processato con il rito abbreviato. Il giudice ha anche disposto il rinvio a giudizio per Gaetano Scotto e Francesco Paolo Rizzuto. La coppia venne trucidata a Villagrazia di Carini il 5 agosto del 1989

Hanno atteso e resistito per quasi 32 anni. Con dignità e discrezione, ma inflessibili, hanno chiesto giustizia e verità. Il simbolo del tempo insopportabilmente lungo che è passato da quando il poliziotto Nino Agostino venne trucidato assieme alla moglie, Ida Castelluccio, che portava in grembo una bimba di cinque mesi, è la barba mai tagliata da suo padre Vincenzo. Oggi, dopo oltre tre decenni, è arrivata una prima risposta dello Stato. Il gup Alfredo Montalto ha infatti deciso di condannare all'ergastolo il boss Nino Madonia, processato con il rito abbreviato, mentre per il boss Gaetano Scotto e l'amico di Agostino, Francesco Paolo Rizzuto ha disposto il rinvio a giudizio. Il processo per loro inizierà davanti alla prima sezione della Corte d'Assise il 26 maggio. I primi due imputati rispondono del duplice omicidio, mentre il terzo è accusato di favoreggiamento aggravato.

Alla lettura del dispositivo, nell'aula bunker del carcere Ucciardone, c'era una grande assente (che, per chi crede, forse invece era presente più che mai) ed è la madre dell'agente, Augusta Schiera, deceduta a 80 anni il 28 febbraio del 2019, senza conoscere la verità sull'uccisione del figlio, della nuora e della nipotina che non ha mai visto la luce, ma che è anche lei una vittima innocente della mafia. Era stata profetica, Augusta Schiera, quando disse: "Quando morirò i miei cari sanno che sulla mia lapide dovranno scrivere: 'Qui giace Augusta Schiera, mamma dell'agente Nino Agostino, una donna in attesa di verità e giustizia anche dopo la morte'". 

La condanna e i risarcimenti

La coppia venne ammazzata il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di Carini, davanti al cancello della loro casa. A sparare, secondo la ricostruzione dell'accusa, furono due killer a bordo di una moto di grossa cilindrata, ritrovata bruciata non lontano dal luogo del duplice delitto. Oltre ai parenti delle vittime, assistiti dall'avvocato Fabio Repici, sono parte civile nel processo anche il ministero dell'Interno, la presidenze del Consiglio dei ministri, la Regione, il Comune, il Centro Pio La Torre (rappresentato dagli avvocati Ettore Barcellona e Francesco Cutraro) e Libera. Oltre a condannare Madonia, il gup ha disposto che debba risarcire tutti. A Vincenzo Agostino e alla moglie ormai defunta dovranno andare 100 mila euro ciascuno, per esempio.

La difesa di Madonia

I difensori di Madonia, gli avvocati Valerio Vianello e Vincenzo Giambruno, hanno respinto con fermezza le tesi dell'accusa, puntando soprattutto sulla scarsa attendibilità dei collaboratori di giustizia, che avrebbero in alcuni casi reso dichiarazioni a rate e de relato, come Vito Galatolo. Inoltre, per la difesa non reggerebbe proprio il movente del delitto individuato dalla Procura generale. Dopo la sentenza, i legali hanno spiegato che attendono di leggerne le motivazioni e che la impugneranno in appello.

Decenni di indagini e depistaggi

La decisione di oggi arriva dopo un iter giudiziario travagliatissimo, fatto di piste e di depistaggi, di approfondimenti e perizie e di diverse richieste di archiviazione. Finché a febbraio del 2017 la Procura generale non aveva avocato l'indagine da cui è nato il processo che si è concluso adesso in primo grado per Madonia. Per lui il sostituto procuratore della Dna, applicato per il processo, Domenico Gozzo, e il sostituto Umberto De Giglio avevano chiesto proprio l'ergastolo. Tra l'altro, durante l'ultima inchiesta, si era pensato anche di aver ritrovato l'arma con cui la coppia era stata uccisa. Ma una perizia compiuta su un revolver (scovato assieme ad un arsenale di Cosa nostra a San Giuseppe Jato nel 1996) aveva poi escluso che potesse essere quella la pistola usata per il duplice omicidio che, alla fine, non è mai stata ritrovata.

Il movente e i Servizi

Questi 31 anni sono stati costellati da depistaggi, reticenze e documenti spariti. Tanto che - un classico per Cosa nostra - inizialmente si era battuta persino una pista passionale per il duplice delitto. Anche perché in prima battuta Agostino risultava essere semplicemente un poliziotto in servizio alle "volanti" del commissariato San Lorenzo, senza incarichi delicati e senza un'ombra. Successivamente, invece, era venuto fuori che l'agente svolgeva anche "mansioni coperte", concordate con i Servizi e apparentemente finalizzate alla ricerca e alla cattura di importanti latitanti.

Le relazioni pericolose

Secondo la ricostruzione della Procura generale, Agostino avrebbe fatto parte, assieme ad Emanuele Piazza (ucciso poi anche lui), Giovanni Aiello (noto come "faccia da mostro" e ormai deceduto) e Guido Paolilli (l'agente di polizia che avrebbe reclutato Agostino, indagato e poi archiviato) e altri personaggi di spicco dei Servizi di una struttura di intelligence. La cattura dei latitanti - per l'accusa - sarebbe stata solo una facciata: lo scopo sarebbe stato invece di gestire relazioni di cointeressenza tra rappresentanti infedeli dello Stato e Cosa nostra.

Agostino avrebbe fornito una pista fondata per catturare Totò Riina a San Giuseppe Jato, ma poi avrebbe scoperto ad un certo punto la reale finalità della struttura di cui avrebbe fatto parte e avrebbe così deciso di allontanarsene poco prima di sposarsi con Ida Castellucci. Proprio questa scelta avrebbe portato al duplice omicidio. Un movente che la difesa di Madonia ha sempre contestato, visto che l'imputato venne arrestato due mesi dopo il duplice omicidio "dagli stessi organi di polizia che avrebbero favorito Cosa nostra".

I contatti con Giovanni Falcone

La mano armata sarebbe quella di Cosa nostra, in particolare dei boss Madonia e Scotto del mandamento di Resuttana, ma nell'uccisione di Agostino e della moglie ci sarebbe stata una convergenza con gli interessi di alcuni appartenenti ai Servizi. Nelle ultime indagini, peraltro, sono emersi anche contatti tra Agostino e il giudice Giovanni Falcone, nella fase in cui il magistrato lavorava alla così detta "pista nera" per l'omicidio del presidente della Regione, Piersanti Mattarella.

I collaboratori di giustizia

Per mettere insieme tutti i fili di questa intricatissima trama è stato importante il contributo dei collaboratori di giustizia, inizialmente muti sul duplice delitto, come Vito Galatolo, Giovanni Brusca, Francesco Maria Mannoia, Francesco Di Carlo, Giuseppe Marchese e Francesco Onorato, ma anche di testimoni vicini ad Agostino, come alcuni suoi colleghi e i suoi parenti. La difesa di Madonia ritiene che Galatolo e Brusca sarebbero inattendibili perché non avrebbero rivelato subito le cose che sostengono di sapere sulla vicenda, oltre a riferire circostanze apprese da altri e non conosciute direttamente. 

L'amico e il presunto tradimento

Proprio un amico, Rizzuto, detto "Paolotto", avrebbe tradito Agostino, secondo l'accusa. Nel 1989 era ancora minorenne ma "Rizzuto al momento del duplice omicidio si trovava sul posto - aveva spiegato la Dia a conclusione delle indagini - e la notte precedente aveva partecipato con Agostino ad una battuta di pesca. Poi i due avevano dormito insieme nella casa di Villagrazia di Carini del poliziotto. La mattina dopo Agostino era andato in ufficio, mentre Rizzuto si sarebbe attardato nell'abitazione. Con attività tecniche riservate - avevano spiegato gli investigatori - è stato possibile raccogliere la prova che Rizzuto, in più occasioni, abbia reso dichiarazioni false, contraddittorie e reticenti".

Le intercettazioni

La Dia aveva spiegato che "dalle intercettazioni risulta però che Rizzuto ha detto ad un suo parente di aver visto Agostino a terra sanguinante e di essersi sporcato persino la maglietta di sangue dopo essersi piegato sul corpo ormai senza vita dell'amico". Una maglietta di cui si sarebbe sbarazzato mentre scappava. Nella stessa conversazione, per la Procura generale, Rizzuto avrebbe affermato di non aver mai riferito queste circostanze agli investigatori subito dopo gli omicidi.

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