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Sabato, 27 Aprile 2024
Mafia

La Corte d'Appello: "Dell'Utri mediatore mafia-Berlusconi"

Depositate le motivazioni della sentenza emessa dalla terza sezione, presieduta da Raimondo Lo Forti, che condannò l'ex senatore del Pdl a sette anni per concorso in associazione mafiosa. "Mantenuti sempre vivi i rapporti con i mafiosi di riferimento"

Non un semplice trait d'union, ma un vero e proprio "mediatore contrattuale" del patto di protezione tra Berlusconi da una parte e Cosa nostra dall'altra. Per la corte d'appello di Palermo, che ha condannato Marcello Dell'Utri a sette anni per concorso in associazione mafiosa, il filo rosso che lega l'imprenditore milanese e la mafia non è per nulla sottile: si tratta dell'ex senatore del Pdl, per anni braccio destro di Berlusconi e tra i fondatori di Forza Italia. Nelle 477 pagine che raccolgono, per la quarta volta (il processo è tornato in appello dopo il rinvio della Cassazione per il periodo tra il 1974 e il 1992), quello che lo stesso Dell'Utri chiama ironicamente il suo ''romanzo criminale'', la corte ribadisce i ''comportamenti tutt'altro che episodici, oltre che estremamente gravi e profondamente lesivi di interessi di rilevanza costituzionale dell'imputato, che ha ritenuto di agire in sinergia con l'associazione criminale''.

''In tutto il periodo di tempo in oggetto (1974-1992) - prosegue la corte - ha, con pervicacia, ritenuto di agire in sinergia con l'associazione e di rivolgersi a coloro che incarnavano l'anti-Stato, al fine di mediare tra le esigenze dell'imprenditore milanese e gli interessi del sodalizio mafioso, con ciò consapevolmente rafforzando il potere criminale dell'associazione''. I giudici Raimondo Lo Forti, Daniela Troja e Mario Conte, in ottemperanza alle indicazioni della Cassazione, motivano la sentenza cercando di colmare quel ''vuoto argomentativo'' segnalato dagli ermellini sulla sussistenza dei legami Dell'Utri-mafia nel 1978-1982 e spiegando la ''questione del dolo'' alla luce degli elementi di ''torsione e avvitamento'' che si erano registrati tra le parti tra il 1983 il 1992. La genesi del patto che ha legato Berlusconi alla mafia con la mediazione di Dell'Utri, durato secondo i giudici almeno 28 anni, è l'incontro avvenuto a maggio 1974,a Milano, cui erano presenti anche gli esponenti mafiosi Gaetano Cinà, Stefano Bontade, Mimmo Teresi.

''In virtù di tale accordo - scrive la corte - i contraenti e il mediatore contrattuale hanno conseguito un risultato concreto e tangibile costituito dalla garanzia della protezione personale all'imprenditore tramite l'esborso di somme di denaro che quest'ultimo ha versato a Cosa nostra tramite Dell'Utri, che ha consentito che l'associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere''. Così Berlusconi è ''rientrato sotto l'ombrello di protezione mafiosa assumendo Vittorio Mangano ad Arcore''. Del resto, l'ex premier ''ha sempre accordato - aggiunge il collegio - una personale preferenza al pagamento di somme come metodo di risoluzione preventiva dei problemi posti dalla criminalità''.

Somme arrivate puntualmente a Cosa nostra con pagamenti semestrali anche tra il 1978 e il 1982, quando Dell'Utri andò a lavorare dall'imprenditore immobiliare Filippo Rapisarda. Nemmeno la morte di Stefano Bontade e Mimmo Teresi, e quindi nel periodo tra il 1983 e il 1992, e il mutamento dei vertici di Cosa nostra ''aveva modificato - proseguono i giudici - in alcun modo l'impegno finanziario del gruppo Berlusconi nei confronti dell'organizzazione criminale''. I milioni (prima 50 e poi 100 ogni sei mesi, secondo i pentiti) arrivavano nelle mani di Toto' Riina attraverso Cinà. Per la corte, i pagamenti sarebbero proseguiti ''quantomeno fino al 1992''. E qui si fermano i giudici. Da quel momento in poi, infatti, Dell'Utri è stato assolto dall'accusa di mafia in via definitiva. (Ansa)

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