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Domenica, 28 Aprile 2024
Cronaca

Berlusconi, Dell'Utri e il legame torbido con la mafia: dall'incontro con Bontate al pizzo pagato per 20 anni

Le sentenze ormai definitive hanno accertato il ruolo di mediatore dell'ex senatore di Forza Italia già a partire dal 1974. L'allora sconosciuto imprenditore chiese protezione al "principe" di Villagrazia e ad Arcore arrivò lo "stalliere", Vittorio Mangano. Da allora e fino al 1992 l'ex presidente del Consiglio versò ogni 6 mesi denaro ai clan palermitani

Il legame che Silvio Berlusconi - deceduto oggi a 86 anni - ha avuto con Palermo, soprattutto per via della lunghissima e solida amicizia con l'ex senatore Marcello Dell'Utri, è stato centrale nella sua vita e in particolare nella sua ascesa imprenditoriale. Ed è un legame molto fosco, torbido, perché parla la lingua di Cosa nostra e nasce - come accertato da sentenze ormai definitive da tempo - nel 1974 quando il futuro presidente del Consiglio incontra a Milano nientemeno che il boss Stefano Bontate, il "principe" di Villagrazia. Per parlare di affari, ma anche per chiedere protezione. Che gli sarà garantita attraverso lo "stalliere" di Arcore, ovvero il mafioso di Porta Nuova, Vittorio Mangano, e che pagherà con elargizioni costanti di denaro ai clan palermitani per almeno un ventennio.

Da anni, inoltre, Berlusconi - sempre assieme a Dell'Utri - era indagato in un'inchiesta della Procura di Firenze come presunto mandante delle stragi in Continente, cioè quelle del 1993 a Milano, Roma e Firenze. Un fascicolo che- dopo essere stato aperto e archiviato diverse volte - ora si è definitivamente chiuso con la sua morte. Il patron di Mediaset fu anche citato come testimone nell'appello del processo sulla così detta Trattativa, dov'era imputato l'ex senatore: si presentò a Palermo nell'aula bunker dell'Ucciardone l'11 novembre del 2019 e vi restò per pochi minuti, giusto il tempo di dire alla Corte d'Assise che non avrebbe risposto alle domande.

Berlusconi al processo Trattativa | Video

Dell'Utri è stato poi assolto in questo processo, ma è stato invece in precedenza condannato a 7 anni in un altro procedimento per concorso esterno in associazione mafiosa. Ed è da questa sentenza che si ricava come dato certo il legame tra Berlusconi e Cosa nostra, proprio con la mediazione di Dell'Utri, suo braccio destro sin dai primi passi imprenditoriali nell'edilizia e poi nel mondo delle televisioni. Fu proprio il palermitano peraltro a creare Forza Italia, il partito che, subito dopo lo scandalo di Tangentopoli, consentì a Berlusconi di "scendere in campo" e di diventare per la prima volta presidente del Consiglio nel 1994.

Mediò tra Berlusconi e Cosa nostra: condannato Dell'Utri

Fu il pentito Francesco Di Carlo a raccontare ai magistrati dell'incontro tra l'imprenditore milanese e il "principe" di Villagrazia, ovvero la massima autorità mafiosa nel 1974. Il collaboratore ha riferito di aver partecipato all'appuntamento, a proposito del quale "Bontate mi disse che dovevamo incontrare un industriale, un certo Berlusconi: a quel tempo il nome non mi diceva niente...".

"Era il 1974 - mise a verbale Di Carlo - siamo andati in un palazzo e ci viene incontro Dell'Utri... Siamo entrati in una grande stanza e dopo mezz'ora è spuntato questo signore sui 30 e rotti anni, che ci è stato presentato come il 'dottore Berlusconi' (...) Berlusconi disse che stava costruendo una città intera e ci ha fatto una specie di lezione economica. Poi sono andati nel discorso di garanzia che 'Milano oggi è preoccupante perché succedono un sacco di rapimenti'... Berlusconi ha spiegato che aveva dei bambini e non stava tranquillo, per cui avrebbe voluto una garanzia e qua gli dice: 'Marcello mi ha detto che lei è una persona che mi può garantire questo ed altro'. Allora Stefano Bontate fa il modesto - aveva raccontato Di Carlo - ma poi lo rassicura: 'Può stare tranquillo, deve dormire tranquillo, perché lei avrà vicino delle persone che qualsiasi cosa chiede avrà fatto. Poi lei ha Marcello qua vicino, per qualsiasi cosa si rivolge a Marcello... Le mando qualcuno'".

Trattativa, assolti definitivamente i carabinieri e Dell'Utri

Dopo questo incontro, Gaetano "Cinà aveva però ricordato a Bontate: 'Ma qui c'è già Vittorio Mangano, che è amico di Dell'Utri e Stefano non ci teneva particolarmente, però Mangano era della famiglia di Porta Nuova, quindi era nel mandamento di Bontate. Per cui Bontate ha detto: 'Lasciateci Vittorio'". E qui Di Carlo precisa: "Ci hanno messo vicino Vittorio Mangano certamente non come stalliere, perché, non offendiamo il signor Mangano, Cosa nostra non pulisce stalle a nessuno... Ci hanno messo uno ad abitare là, a Milano: Mangano trafficava e nello stesso tempo Berlusconi faceva la sua figura che aveva vicino qualcuno di Cosa nostra". Da quel momento erano quindi iniziate le richieste di denaro dei boss in cambio della protezione. Al pentito Cinà aveva detto: "Sono imbarazzato perché subito mi hanno detto di chiedergli 100 milioni di lire, mi pare male' e io gli dissi: 'Tanto sono ricchi e poi ci hanno voluto'".

Nell'ultima intervista del giudice Paolo Borsellino, rilasciata nel maggio 1992 a due giornalisti francesi di Canal Plus, Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, e poi resa pubblica solo nel 1994, c'era un riferimento chiaro proprio a Mangano, che il magistrato definiva come "una delle teste di ponte dell'organizzazione mafiosa del Nord Italia". E' stato accertato in via definitiva che Mangano andò a vivere ad Arcore, a casa di Berlusconi proprio nel 1974, assieme alla moglie, la suocera e tre figlie. Ovvero contemporaneamente al trasferimento da Palermo a Milano di Dell'Utri, il cui legame con Cosa nostra è stato riconosciuto dai giudici proprio dal 1974 al 1992.

La morte di Berlusconi e il cordoglio della politica siciliana

Sempre dalla sentenza con cui la Cassazione ha riconosciuto il concorso esterno emerge che i rapporti tra Berlusconi e Cosa nostra, con il tramite di Dell'Utri, durò per circa vent'anni e resistette persino ai nuovi assetti determinati dalla seconda guerra di mafia e dalla presa del potere all'interno dell'organizzazione criminale da parte dei Corleonesi di Totò Riina: ogni sei mesi, nell'ufficio dell'ex senatore a Milano, venivano preparati i contanti da consegnare ai boss a Palermo, che li ripartivano tra varie famiglie.

Mangano "è un eroe", così disse a margine di un'udienza del suo processo l'ex senatore perché "è stato messo in galera e continuamente sollecitato a fare dichiarazioni contro di me e contro Berlusconi, se lo avesse fatto lo avrebbero scarcerato, ma lui ha sempre risposto che non aveva nulla da dire". Mangano, che era stato ripetutamente arrestato e liberato, alla fine venne condannato all'ergastolo, ma morì a casa sua, ai domiciliari ottenuti proprio per motivi di salute, nel 2000. Ed effettivamente non parlò mai.

La Procura di Palermo, nel processo sulla Trattativa, provò a dimostrare che questo rapporto tra l'ex senatore di Forza Italia e i mafiosi sarebbe durato anche oltre il 1992 e che Dell'Utri si sarebbe fatto portatore della minaccia dei boss proprio al Governo Berlusconi. Un'ipotesi che i giudici hanno sempre respinto, tanto che alla fine il politico bibliofilo è stato definitivamente assolto.

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