Occupazione si? Occupazione no? Il parere di uno studente qualunque
Puntuale, forse più delle quattro stagioni canoniche, è giunto il periodo del cosiddetto "autunno caldo" della mobilitazione studentesca che coinvolge le scuole superiori e le università di tutte le città d'Italia. Evento che, naturalmente, non ha lasciato indifferenti le scuole di Palermo. Questo tipo di agitazione spesso, e volentieri, sfocia nelle forme di protesta più disparate: tra i termini più in voga è facile ricordare l'autogestione, la cogestione, l'assemblea permanente, ecc. Ma non staremo a spiegare il significato di ciascun termine, perché anche quest'anno - esattamente come i più recenti - la parola d'ordine è soltanto una: occupazione.
L'occupazione sarebbe mirata a consentire ai ragazzi piena autonomia nella gestione del proprio tempo e delle proprie attività, svolte inconsuetamente in un luogo condiviso con altri coetanei. E se la sorte (e chi ci governa) non fa altro che dar motivazioni su motivazioni a sostengo del dissenso e delle proteste in generale, è in ogni caso opinione comune che si tratti esclusivamente di una maniera per avvicinare più serenamente le vacanze di Natale. Ma le occupazioni delle scuole davvero sono mirate solo a questo? Ho vissuto queste mobilitazioni prima da studente e poi da Rappresentante di Istituto, ho anche avuto il piacere di collaborare con il team di giuristi della community ScuolaZOO, e posso assicurarvi che la questione non è "o bianco o nero" come molti si ostinano a credere, bensì più complessa.
Intanto, da un punto di vista legale, l'occupazione è considerata interruzione di pubblico servizio e quindi reato (art. 331 C.P.); anche se la giurisprudenza italiana non si è sempre espressa in maniera univoca, citando ad esempio una sentenza della Cassazione secondo il quale l'azione in questione non deve considerarsi alla stregua di invasione di edifici (art. 633 C.P.) se questa avviene in orario curriculare e se è volta all'accoglimento delle istante degli iscritti all'Istituto. E, infatti, in alcune circostanze le attività svolte durante il periodo incriminato sono state considerate al pari di quelle più "tradizionali" e quindi regolarmente riconosciute dagli istituti, fino ai casi più eclatanti nei quali ci si è serviti dei giorni della protesta per riuscire a convalidare un anno scolastico altrimenti costituito da una quantità di giorni di lezione non sufficiente. Se, però, riducessimo la questione a mera giurisprudenza, credo perderemmo di vista delle considerazioni molto più importanti.
Personalmente, fino ad oggi mi sono sempre detto contrario, aborrendo queste iniziative e considerandole inutili e infruttuose perdite di tempo. Allo stesso tempo però preferirei che l'opinione pubblica in merito facesse le proprie considerzioni ed esprimesse i propri giudizi solo conoscendo ciò di cui parla. Durante manifestazioni come questa, sono tante le cose straordinarie (nel senso di non-ordinarietà) che avvengono: ad esempio, ci sono i professori più burloni che avvertendo anticipatamente un clima d'agitazione chiedono impazienti quando inizierà, quelli più rigidi e integerrimi che pagherebbero oro pur di far rientrare il tutto e tornare a far lezione, e gli insegnanti più seri e preparati che - nella confusione generale - si prodigano a spiegare (anche se si dovrebbero gia conoscere a priori, ma vabbè...) le ragioni per il quale si scende in piazza, facendo riferimenti storici e attualizzandoli alle questioni politiche/sociali del nostro tempo.
Ciò che avviene è quindi un generale tentativo di sensibilizzazione ai problemi che ci riguardano più strettamente da vicino, affrontati o con l'aiuto di qualche coraggioso docente o tramite la condivisione di idee ed informazioni tra pari. L'occupazione porta con sé una serie di esperienze ed eventi che in molti casi portano alla maturazione del singolo, e alla scoperta da parte dello stesso di un mondo fatto di idee, convinzioni, scelte, controversie che mai aveva conosciuto ed esplorato prima. Quello che può venir fuori da situazioni come questa è una generale acquisizione di consapevolezza della propria posizione del mondo, un mondo dal quale si inizia a rivendicare ascolto. E poco importa se, su migliaia di ragazzi occupanti, questo processo coinvolga solo delle minoranze rispetto alla pletora di studenti il cui unico scopo è uno sgravio nella pressante routine scolastica. Fosse anche un solo studente, uno solo, quello a cui si avvia un processo di maturazione del genere, sarà comunque tanto di guadagnato. Sarà un cittadino consapevole in più strappato all'ignavia e all'inezia che caratterizza fin troppe persone nella nostra contemporaneità.
E allora ben vengano questo genere di manifestazioni - che, pragmaticamente parlando, avverrebbero a prescindere essendo la componente "pletora di lagnusi" in netta maggioranza da secoli a questa parte -, se esse sono in grado di offrire e far conoscere ad uno studente qualcosa in più su sè stesso e sul mondo che lo circonda rispetto a ciò che, ahimé, la scuola non si cura di insegnare. Da neo studente universitario guardo già con malinconia agli anni delle scuole superiori, e posso garantire che questo è uno dei tanti momenti della scuola in cui, senza ombra di dubbio, si cresce.