L'arte ci restituisce il Baby Luna
Diversi giorni fa, quasi per caso, o forse alla ricerca di un buon locale in cui cenare, mi sono imbattuto in una mostra presso una nota galleria di Palermo.
L'ingresso semplice, in un antico palazzo del centro Palermitano, lascia intravedere un insieme di opere, di colori, degnamente illuminate. Si tratta della galleria Rizzuto, che in questo periodo espone diverse opere, dedicando le prime due stanze, come mi è facilmente stato spiegato da un'assistente di galleria (molto preparata oserei dire) ad artisti emergenti, in una manifestazione giunta alla sesta edizione, denominata “Young Volcano”.
Si veda bene, ammetto la mia ignoranza o mancata conoscenza di questo ciclo di eventi, ma dodici anni tra Germania, Francia e Svizzera pesano. La galleria inoltre, ospita nelle successive sale artisti di alto lignaggio, quali Luca Pancrazi, De Grandi, Adamo e Barbieri, solo per citarne alcuni. Ma tornando, all'ingresso, alle prime due sale, oggetto primario del mio interesse, evidente è il vigore artistico giovanile, palpabile, trascinante e vigoroso; protagonisti Young Volcano sono tre giovani artisti: in rigoroso ordine alfabetico, Marino Elisabetta, Scalia Laura e Surdi Francesco. Il tutto è accompagnato, oltre all'assistenza della già citata assistente di galleria, cordiale e competente, da un testo scritto da un'altra giovane (manco a dirlo) Giulia Campanella, le cui suadenti parole annichiliscono qualsiasi scrittore dilettante, in primis il sottoscritto.
Ciò detto, decido di immergere corpo e mente in questa rappresentazione composita di stili e materiali assolutamente diversi: vi è pittura, scultura e tecnica mista tra pareti e piedistalli in un sobrio allestimento. Ricerca di materiali, sperimentalismo e pochi geometrismi sono le linee guida di questa esposizione palermitana: si passa dall'interessante studio della materia di Surdi con le sue sculture, al vaso fluo sbeffeggiante di Marino all'ingresso, sino al potente richiamo di terra e cemento espresso dalla Scalia. Una mescolanza di curiosità e sorpresa alberga in me alla visone delle opere di questi tre giovani artisti, a cui dedico molto del mio tempo, (dimenticando temporaneamente i desideri culinari) e proseguendo infine con le altre sale della galleria, cui sono protagonisti, come già anticipato, eminenti artisti che ben ho apprezzato negli anni anche fuori dalla nostra amata Sicilia.
Ma non è questo il primario oggetto del mio breve pensiero che mi accingo a completare; difatti, nella via che porta all'uscita, tornando nelle due sale di ingresso, un quasi imperdonabile errore si palesa dinanzi a me: non avevo visto un'opera, una piccola opera, densa di colore, malinconia, ironia e nostalgia, il tutto in una “teletta” di appena trenta centimetri, il tutto tale da trascinarmi all'essenza della mia vita, ai miei viaggi, ai miei addii ed ai miei ritorni, il Baby Luna.
Una piccola tela blu ed una scritta che nessun palermitano può dimenticare: lo storico Baby Luna, disgraziatamente evaporato. L'opera è di Elisabetta Marino, che personalmente non conosco, ma ringrazio, in pochi istanti, ha illuminato la mia mente in ricordi ed emozioni: gli incontri prima di andare al mare, le battute con gli amici e l'ultimo caffè prima di volgere in auto verso l'aeroporto di Catania, punto di partenza del mio girovagare. La tela è semplice quanto potente, evocativa, come ben poche cose ai miei occhi, e lo strato sottostante in rosa fluo ha un'anima decisamente pop.
Parto da Palermo con animo restaurativo, forse anche nostalgico, ma di certo gioviale; torno consapevole di ciò che sono e che sono stato, il tutto grazie ad un oggetto, ad una tela, ad un'idea, ad un simbolo. Parto consapevole che la mi terra ha ancora tanto da dire nel panorama artistico, e questi ragazzi ne sono la prova, parto sapendo sempre di tornare. Cosa aggiungere, se non: "Ni viriemu o Baby Luna?".