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Domenica, 28 Aprile 2024
Cronaca Cefalù

"Non fecero gli esami per tempo e il paziente morì", due medici finiscono a processo

Il gip di Termini Imerese ha disposto l'imputazione coatta per il noto chirurgo Pierenrico Machesa e per Tiziana Facella in relazione al decesso di un anziano operato al San Raffaele Giglio di Cefalù a gennaio 2016. Per altri quattro indagati arriva invece l'archiviazione

Avrebbero avuto gli elementi per capire che le condizioni del paziente si stavano aggravando, ma non avrebbero fatto gli esami necessari per evitarne la morte. Il gip di Termini Imerese, Claudio Bencivinni, dopo due richieste di archiviazione formulate dalla Procura, ha disposto l'imputazione coatta di due medici che nel 2016 erano in servizio all'ospedale San Raffaele Giglio di Cefalù, il primario (e luminare) di Chrirugia, Pierenrico Marchesa, poi passato al Civico di Palermo, e la dottoressa Tiziana Facella. Andranno quindi a processo con l'accusa di omicidio colposo, in relazione al decesso di un anziano, Gaetano Trincanato, avvenuto il 17 gennaio di quattro anni fa.

Il giudice ha accolto l'opposizione dell'avvocato Giovanni Rizzuti (nella foto), che assiste la famiglia della vittima. Per altri quattro sanitari indagati - Guido Martorana, Valentina Alaimo, Giuseppe Barranco e Antonella Pellino - il gip ha disposto invece l'archiviazione. Un'inchiesta complessa quella legata alla morte del paziente, che aveva 85 anni, nata dalla denuncia dei suoi parenti, convinti sin dal primo momento che il decesso avrebbe potuto essere evitato e che i medici non avrebbero svolto correttamente il loro lavoro. Marchesa è peraltro coinvolto anche in un'altra indagine, su presunti interventi fantasma proprio al Giglio di Cefalù.

avvocato Giovanni Rizzuti-2Dopo controlli compiuti tra giugno e novembre del 2015 in diversi ospedali, Trincanato il 3 gennaio del 2016 era andato al pronto soccorso del San Raffaele per via di forti dolori addominali ed era stato ricoverato in Chrirugia generale. Il giorno successivo, con un intervento, gli era stata asportata una parte del colon. Dopo i primi giorni in cui le sue condizioni di salute sarebbero state stazionarie, l'anziano avrebbe iniziato ad avere difficoltà respiratorie. Un quadro che si era ulteriormente aggravato, nonostante le cure, con problemi al cuore e un'occlusione intestinale. A quel punto era stata disposta una tac che aveva messo in evidenza "un'ernia della parete addominale, con ansa intestinale". I medici avevano quindi deciso di operarlo nuovamente. Il paziente, dopo l'intervento era però finito in terapia intensiva, dove poi era morto il 17 gennaio.

La famiglie aveva sporto denuncia e la Procura di Termini Imerese aveva quindi disposto l'autopsia, il cui esito aveva però portato il pm a chiedere una prima volta l'archiviazione. Per i consulenti dell'accusa, infatti, non si ravvisavano responsabilità a carico dei medici, che avrebbero fatto tutto il possibile per curare l'anziano. A conclusioni ben diverse erano giunti invece i consulenti dei parenti della vittima e il gip, il 26 luglio del 2018, aveva dunque rinviato gli atti al pm perché facesse ulteriori indagini sul caso. L'accusa, per sciogliere ogni dubbio, aveva chiesto al giudice di disporre una nuova perizia medico-legale in incidente probatorio. La relazione degli esperti era stata depositata l'8 febbraio 2018 e a marzo il pm aveva nuovamente chiesto di archiviare il fascicolo. Istanza alla quale la famiglia dell'anziano si era opposta ancora una volta.

Il giudice, recependo le conclusioni dei periti, rimarca che "i sanitari già il 9 gennaio 2016 disponevano di una serie di evidenze cliniche che, se precocemente interpretate ed indagate, avrebbero permesso loro di instaurare nei tempi dovuti i protocolli terapeutici necessari" e che "l'avvenuta complicanza (ernia ombelicale intasata) sarebbe stata precocemente diagnosticata e risolta e ciò, con elevata probabilità prossima alla certezza, avrebbe modificato il prosieguo degli accadimenti clinici che portarono all'exitus del paziente". E sostiene che "posto che vi sono state violazioni di regole cautelari, di prudenza, perizia o diligenza quantomeno nei giorni 9 e 10 gennaio 2016 (omissione di accertamenti diagnostici in data 9 gennaio, quali lastra all'addome o tac addominale)" e che la loro anticipazione, secondo i periti, avrebbe evitato la morte, "gli elementi acquisiti sono idonei per sostenere l'accusa in giudizio ed è opportuno un approfondimento dibattimentale della vicenda quantomeno nei confronti di soltanto alcuni degli indagati".

Nello specifico per il capo dell'équipe medica che operò il paziente, cioè Marchesa che "non risulta abbia prestato alcuna particolare cura alle complicanze", mentre per il gip avrebbe dovuto disporre "un apposito monitoraggio, ovvero informarsi anche solo telefonicamente, delle condizioni del paziente con i sanitati che egli, di certo, sapeva essere di turno in sede". Per questo "la condotta mantenuta da Marchesa nella fase postoperatoria risulta non conforme a quella suggerita dalla migliore scienza ed esperienza e, quindi, sotto il profilo oggettivo, colposa". Stesso ragionamento per Facella: il processo dovrà chiarire "se alle 17.20 del 9 gennaio 2016 le condizioni cliniche del pazienti fossero già tali da richiedere gli approfondimenti diagnostici di sui si è detto, all'esito della richiesta consulenza anestesiologica, e se la stessa fosse ancora in turno".

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