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Domenica, 28 Aprile 2024
Mafia

L'omicidio di Mico Geraci risolto dopo 25 anni, i pentiti: "Parlava male della mafia, aveva superato ogni limite"

I mandanti del delitto, avvenuto a Caccamo l'8 ottobre 1998, i fratelli Pietro e Salvatore Rinella, sono stati indicati dai collaboratori Emanuele Cecala, Andrea Lombardo e Massimiliano Restivo. "Era una cosa che interessava a Bernardo Provenzano". I due esecutori materiali, convinti di conquistarsi così un ruolo nel clan di Trabia, furono uccisi a loro volta

Non aveva esitato a prendere posizione pubblicamente contro Cosa nostra, da sindacalista che aspirava a diventare sindaco di Caccamo, Mico Geraci, "era un pericolo reale" per gli interessi della cosca del suo paese e non solo. Non aveva avuto timori a denunciare irregolarità nel Piano regolatore stilato dall'amministrazione comunale dell'epoca, sostenendo che sarebbero stati favoriti amici e parenti di politici e anche di mafiosi. "Era uscito pazzo" e "aveva superato ogni limite", come pensarono i boss della zona, e per il suo impegno politico, per la sua voglia di migliorare la sua terra, era stato assassinato mentre tornava a casa la sera dell'8 ottobre 1998. Per anni il suo omicidio è rimasto senza colpevoli, pur essendo stata sempre chiara la matrice mafiosa del delitto. Adesso a quasi 26 anni da quel giorno, sulla scorta delle dichiarazioni di diversi pentiti, la Procura ha chiesto ed ottenuto l'arresto dei fratelli Pietro e Salvatore Rinella, a capo del clan di Trabia.

Due arresti a 25 anni dall'omicidio di Mico Geraci

L'ordine di Provenzano e i killer uccisi dopo il delitto

Il gip Alfredo Montalto ha accolto l'istanza del procuratore aggiunto Marzia Sabella e dei sostituti Giovanni Antoci e Bruno Brucoli che, mettendo insieme tutte le tessere, sono finalmente riusciti a dare un nome ai presunti assassini del sindacalista. Gli esecutori dell'omicidio, indicati sempre dai collaboratori di giustizia, Filippo Lo Coco ed Antonino Canu, furono poi eliminati a loro volta. Il primo venne ucciso esattamente un mese dopo Geraci, il 7 novembre del 1998, ed effettivamente quando la vedova del politico, Vincenza Scimeca, vide la sua foto sul giornale lo riconobbe come uno dei killer che aveva sparato al marito. L'unico ad aver parlato del delitto era stato fino a qualche tempo fa solo il pentito Nino Giuffrè, già capo del mandamento di Caccamo e fedelissimo di Bernardo Provenzano. Nel 2002 spiegò che lui, però, pur essendosi preso la responsabilità di altri omicidi, quello di Geraci non l'aveva commesso. Indicò come mandante "Binnu" e raccontò di aver ricevuto molte lamentale per il comportamento del sindacalista "che parlava male di noi", cioè della mafia, e che peraltro avrebbe fatto perdere anche dei contributi economici ad alcuni affiliati. Poi, però, sono arrivate le testimonianza di Emanuele Cecala, Andrea Lombardo e Massimiliano Restivo. E da qui è arrivata la svolta che ha consentito di risolvere una storia che gridava giustizia da anni.

Gli spari sotto casa, davanti alla moglie e al figlio

Geraci venne eliminato in piazza Zafferana, a Caccamo, con 6 cartucce calibro 12, partite da una sola arma, un fucile semiautomatico o a pompa. Aveva appena suonato il campanello e la moglie e il figlio Giovanni, sentirono gli spari e videro - seppure male - anche i killer. Giovanni Geraci si scagliò contro uno di loro, lanciandogli anche una pianta e riuscì ad indivudare una Fiat Uno grigia, targata Palermo, di cui però decifrò solo due numeri, il 6 e l'8. Entrambi i testimoni fornirono una descrizione sommaria degli assassini. L'auto utilizzata per il delitto venne ritrovata qualche giorno dopo a una decina di chilometri: dentro c'erano tre cicche di Ms e una di Marlboro. Elementi insufficienti per risolvere il caso.

Il pentito Giuffrè: "Il discorso è avvenuto a mia insaputa"

Solo quattro anni dopo, nel 2002, Giuffrè fornì delle indicazioni che, tuttavia, non furono sufficienti per sostenere l'accusa, tanto da portare all'archiviazione del fascicolo. Il pentito spiegò che Provenzano gli avrebbe chiesto: "Ma se eventualmente al tuo paese avessimo bisogno di qualche persona tu ce la puoi dare?" e "io - disser il pentito - in quella circostanza ero un pochino seccato con lui e gli ho detto che non avevo nessuno". L'allora boss considerò i termini con cui era stata fatta la richiesta dal capomafia "arroganti e poco educati". Dopo qualche tempo apprese dell'omicidio di Geraci. Ma "il discorso è avvenuto a mia insaputa perché facilmente loro spevano che io sarei stato contro all'uccisione di Geraci, hanno fatto il discorso tutto dietro alle spalle - aveva spiegato ancora ai pm Giuffrè -  siamo paesani, in un piccolo paese e ci conosciamo tutti e ho lavorato con Geraci... Quando lui faceva il politico, era consigliere, era assessore, quando avevo bisogno di qualche cosa si metteva sempre a disposizione...".

"Avevo detto di avvicinarlo e ammorbidirlo..."

Inoltre "Provenzano in prima persona me lo ha fatto capire, me l'ha detto, il discorso era abbastanza chiaro" e a Giuffrè erano arrivate anche delle lamentele sull'operato del sindacalista: "Nel 1997 Giorgio Liberto e Michele Puccio esprimono delle lamentele contro Domenico Geraci, che andava parlando male, cioè si era schierato apertamente, in certi discorsi, contro la famiglia mafiosa di Caccamo, dicendo 'questo è uscito pazzo'. E mi avevano parlato di un legame tra Geraci e un altro soggetto, che aveva già fatto il consigliere comunale, Ciccio Dolce, dicendo che erano dei soggetti molto pericolosi, c'era stata una saldatura tra i due". Proprio Dolce, aveva precisato il pentito "aveva dato fastidio" e avrebbe dovuto essere a sua volta ucciso. Lui all'epoca avrebbe raccomandato di "ammorbidire" Geraci: "Vedete se è possibile farlo avvicinare da altre persone", senza fare "danno", "perché andare a fare un discorso eclatante oggi, è un rischio per tutti voi e per me che sono latitante", così avrebbe detto agli affiliati.

"Se diventava sindaco saltavano gli equilibri tra cosche e politica"

In una successiva riunione, Liberto avrebbe riferito a Giuffrè che Geraci "aveva superato ogni limite, perché continuava sempre impavido nell'andare parlando apertamente ed in pubblico contro di noi, che addirittura aveva messo il bastone tra le ruote a determinate pratiche di finanziamenti di contributi". E "il pericolo è reale, cioè 99 su 100 Geraci risaliva a sindaco e in quel momento viene a saltare tutto l'equilibrio tra i Comuni e la mafia locale - aveva aggiunto il collaboratore - e il discorso andava ad interessare anche altri Comuni della provincia, si scardinava il discorso politico della roccaforte democristiana, avevamo 19 consiglieri su 20", puntualizzando che "dopo l'omicidio, Provenzano mi chiede di mettere di lato Giorgio Liberto".

Il convegno contro la mafia del 30 luglio 1998

Nei mesi precedenti all'omicidio Mico Geraci effettivamente non si era risparmiato, aveva attaccato duramente Cosa nostra e in un convegno del 30 luglio del 1998, intitolato "La lotta alla mafia per la legalità e lo sviluppo", era arrivato a fare anche pubblicamente dei nomi e a opporsi senza remore al nuovo Piano regolatore di Caccamo, che per lui sarebbe stato studiato soltanto per favorire parenti di politici e mafiosi.

Il pentito Cecala: "C'entrano i Rinella al 100%"

Emanuele Cecala ha raccontato di aver appreso dei contorni dell'omicidio da uno zio di Giuffrè, nel 2004: "Prende stu discorso di Geraci, Nino Giuffrè non ha mai detto che era responsabile di queste cose" e il pentito aveva quindi chiesto: "A me mi pare strano ca suo nipote un sapeva nenti di 'sta cosa, perché una capomandamento com'è ca ci passa tuttu u paisi e un sapi nenti' e mi disse: 'Figghiu mio capace ca un sape vero niente perché furono gente di Trabia... i fratelli Rinella, Pietro e Salvatore... Mandanti, erano ordini che partivano da Bernardo Provenzano, iddi si sentivano di avere carta bianca e potere fare una cosa di questa in un altro mandamento... Lui mi diceva che c'entravano 100 per cento i fratelli Rinella". E ancora: "Erano i Rinella quelli che dirigevano le cose, che avevano i rapporti con altri mandamenti e che facevano delle cose sottobanco senza farci sapere niente a Nino Giuffrè... La manu partiu dalla cosca di Rinella di Trabia e che Nino Giuffrè non sapeva niente... Era una cosa che interessava a Provenzano - prosegue Cecala -  Nino Giuffrè a quanto pare aveva qualche incarico di questo e non lo fece mai, prendeva tempo, non so il motivo... A Mico Geraci gli facevano sempre danneggiamenti, gli bruciavano la macchina, poi facevano trovare fiori, già mesi e anni prima... Giuffrè qualcosa la sapeva per forza, lui gli faceva fare danneggiamenti". Il pentito ammette che "i dettagli del delitto no, lui mi disse solo che c'entravano i Rinella".

Il pentito Lombardo: "Cose politiche, c'erano candidature a sindaco"

Fondamentali anche le dichiarazioni di Lombardo, che risalgono al 29 marzo 2019: "Subito dopo l'omicidio di Mico Geraci mi raccontava Diego Guzzino che è avvenuto un altro omicidio a Trabia. Come diceva lui, l'omicidio Geraci era stato fatto in concerto fra la famiglia di Caccamo e quella di Trabia, dei Rinella, Rinella Pietro... I motivi, lui parlava di cose politiche, che forse c'erano candidature a sindaco" e "il ragazzo ucciso si era occupato dell'omicidio Geraci, mi disse pure il nome, era di Trabia e fu ucciso qualche mese dopo l'omicidio... Comunque il ragazzo che è stato ucciso è il ragazzo che ha commesso in correità l'omicidio". Si riferisce a Lo Coco, che all'epoca fu riconosciuto dalla moglie del sindacalista come il possibile assassino del marito.

Il pentito Restivo: "I killer pensavano di diventare capi..."

Utili alle indagini anche le informazioni fornite da Massimiliano Restivo, come emergono dall'interrogatorio del 7 gennaio 2019: "A Trabia c'erano due ragazzi che ora sono stati uccisi che mi parlarono di un omicidio, che dovevano fare un favore ai caccamesi, che questo favore lo dovevano fare i Rinella ed ingaggiarono Filippo Lo Coco, che è morto, e Antonino Canu... Mi hanno dato appuntamento sia Lo Coco che questo Canu a Santa Rosalia, a Trabia, dicendomi se volevo partecipare all'omicidio, che ci facevano diventare capi di Trabia, ci davano l'affiliazione e gli ho detto: 'Stai attento che è una cosa molto più grossa di quanto si può pensare', dopo tempo hanno ammazzato vero a questo, a me non mi hanno convocato più per niente". Ha aggiunto che "Canu mi ha detto che a sparare è stato Lo Coco, tutti e due ci sono andati. I mandanti? Dice che sono stati i Rinella, lo diceva Canu e a lui lo ha ingaggiato Piero Rinella. Dice: 'Si deve fare questo lavoro' per farli diventare loro capi di Trabia, tipo affiliati, ma all'epoca io ero bambino, potevo avere 22, 23 anni... Lo Coco poi è stato ammazzato, hanno dato l'ergastolo a Rinella, perché sapevano che loro si allargavano, hanno tentato di ammazzare pure Canu, lo hanno investito con la macchina, gli sembrava morto e se ne sono andati e poi lo hanno portato all'ospedale, gli hanno fatto l'assicurazione alla macchina per non farlo parlare... E lui si è tenuto tutte cose dentro e poi successivamente lo hanno ammazzato... Questo omicidio dice che lo ha fatto Michele Modica, quello di Altavilla...".

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