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Domenica, 28 Aprile 2024
Cronaca

Le impediscono di riscuotere l'eredità del marito morto: "Atto arbitrario", condannata una banca

La vicenda di una vedova che dal 2020 ha tentato di conoscere il saldo dei conti cointestati e di incassare la sua quota ottenendo sempre dinieghi da Intesa Sanpaolo. L'istituto di credito, chiedendo atti e documenti non necessari, "si è arrogato il diritto di fare controlli sulla successione". Sono serviti prima un decreto ingiuntivo e poi una causa civile

Ci sono voluti quasi quattro anni, persino un decreto ingiuntivo e infine anche una sentenza del tribunale civile per ottenere "semplicemente" ciò che le era dovuto. Ovvero la sua parte di eredità, rimasta su alcuni correnti cointestati al marito morto diversi anni prima, e che la banca non voleva in nessun modo versarle - pur non trattandosi di una cifra esorbitante ma di poco meno di 15 mila euro - con tutta una serie di motivazioni e richieste di documenti che il giudice ha ora ritenuto "illegittime" ed "arbitrarie". E' per questo che Intesa Sanpaolo è stata non solo condannata a dare i soldi alla vedova, ma anche a pagare le spese di lite. 

Quanto capitato ad F. C. è tutt'altro che fuori dal comune ed è per questo che la decisione del giudice della seconda sezione monocratica del tribunale civile, Sara Monteleone, che ha accolto le tesi dell'avvocato della signora, Carlo Riela (nella foto), può essere interessante per altri cittadini. In estrema sintesi - come emerge dal provvedimento - la banca si sarebbe arrogata il diritto di fare controlli sull'eredità (parti della quale spettavano anche a figli e nipoti, alcuni residenti all'estero) senza averne alcun titolo, negando così la consegna delle somme ad una delle legittime eredi del titolare defunto, che si è vista quindi costretta a fare causa all'istituto di credito, dopo due formali richieste di procedere al pagamento, del 9 novembre 2020 e del 12 maggio 2021, rimaste inevase.

avvocato Carlo Riela-2La donna aveva diritto - trattandosi di beni in comunione - ad un terzo dei saldi attivi sui conti correnti e su alcuni fondi, in tutto 14.689,34 euro, cointestati al marito morto a dicembre del 2004 senza lasciare alcun testamento. Con una raccomandata e una pec, tra il 2020 e il 2021, in quanto erede, aveva chiesto alla filiale del centro di Palermo di Intesa Sanpaolo dove era correntista sia l'accesso agli estratti conto di tutti i rapporti intestati al marito che la liquidazione della suo quota. Ma "per l'inerzia dell'istituto di credito", come si legge nella sentenza, aveva dovuto ricorrere ad un decreto ingiuntivo emesso dal tribunale il 13 novembre 2022: un provvedimento che aveva obbligato la banca a fornire le informazioni richieste e così la donna era riuscita almeno a conoscere i saldi e l'ammontare delle somme. A quel punto, con una pec del 5 maggio 2022, che sarebbe rimasta inevasa, aveva chiesto lo svincolo della sua quota (un terzo).

Inutilmente, tanto che, sempre a maggio di due anni fa, aveva deciso di citare a giudizio Intesa Sanpaolo. Il giudice ora ha dato pienamente ragione alla vedova: "Ogni coerede può agire per ottenere la riscossione dell'intero credito, non ponendosi la necessità della partecipazione al giudizio di tutti gli eredi del creditore (...) restando estranei all'ambito della tutela del diritto azionato i rapporti patrimoniali interni tra coeredi, destinati ad essere definiti con la divisione o con diverse azioni di rendiconto", rimarca nella sentenza.

"Il singolo erede che chieda lo svincolo delle somme giacenti sul conto corrente da parte dell'intermediario finanziario ne ha pieno diritto - sottolinea ancora il giudice - posto che, in ogni caso, il pagamento nelle mani del coerede avrebbe efficacia liberatoria anche nei confronti di quelli che non hanno agito, i quali potranno far valere le proprie ragioni solo nei confronti del coerede medesimo mediante apposita azione di rendiconto e di ripetizione. Se il singolo coerede può agire per la riscossione dell'intero credito, a maggior ragione tale legittimazione gli va riconosciuta in relazione alla riscossione della parte di credito proporzionale alla sua quota ereditaria, come avvenuto nel caso di specie". In parole povere la banca non ha alcun titolo per intromettersi nelle questioni ereditarie.

Per questo "senz'altro illegittimo deve ritenersi il rifiuto opposto dalla banca al versamento delle somme richieste", afferma il giudice, aggiungendo che, per giunta, "non è contestata la qualità di erede (di F. C., ndr), che emerge dalla documentazione anagrafica e successoria. Pacifico è altresì che alla banca fosse già da tempo stata consegnata la dichiarazione di successione" e tutti i documenti necessari.

Ma il giudice è ancora più duro con la banca che ha condannato e che "mostra di fraintendere la ratio" delle norme: "L'istituto di credito non può arrogarsi alcun ruolo di garante della conservazione dell'attivo ereditario da atti arbitrari dei singoli coeredi in vista della futura divisione, né può invocare a sostegno del proprio diniego la regolarità o meno di eventuali accordi di divisione parziale intercorsi tra l'odierna attrice e gli altri coeredi". Così come "arbitraria appare la pretesa della presentazione della denuncia di successione del figlio del defunto per l'asserita necessità di identificazione degli eredi e delle rispettive quote" perché la donna "in qualità di erede era già legittimata a richiedere la liquidazione dell'intero credito del defunto marito e non stava riscuotendo quello del suo coerede". Ecco perché Intesa Sanpaolo dovrà ora - ad oltre quattro anni dalla prima richiesta - versare alla donna 14.422,15 euro oltre agli interessi a decorrere dal 9 novembre 2020, data della prima istanza di F. C.

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