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Sandra Figliuolo

Giornalista Palermo

Il superteste inattendibile e gli eroi mediatici della Trattativa: a cosa è servito il processo?

Dalle motivazioni della sentenza d'appello emerge ciò che si poteva intuire sin dall'inizio, ma per anni si è raccontato altro. Le aule di giustizia non servono a scrivere la Storia, ma ad accertare l'eventuale sussistenza di reati

Non fu una buona idea, anzi fu proprio una "iniziativa improvvida" e "sciagurata", ma i vertici del Ros dei carabinieri quando decisero di avvicinare l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciamcimino, perché facesse da tramite per aprire un "dialogo" con i boss, lo fecero per "fini solidaristici". Cioè a fin di bene, per "far cessare le stragi" e tutelare la collettività. Questo ci dice in estrema sintesi la sentenza d'appello sulla così detta trattativa tra Stato e mafia. Sono serviti una quindicina d'anni per dire, insomma, ciò che si poteva intuire facilmente sin dall'inizio.

Non informarono nessuno, i carabinieri, si mossero in modo "spregiudicato" e tradirono il patto di fedeltà verso le istituzioni, ma come si poteva realmente pensare che lo avessero fatto nell'interesse di Cosa nostra? Eppure è quello che si è raccontato per anni e che ha trovato per giunta conferma in una sentenza di primo grado. E per questo davvero - oggi più che mai - ci si chiede a cosa sia servito questo processo. 

Afferma dal Csm uno dei pm che "il processo del secolo" (per molto tempo è stato considerato così) lo ha istruito, Nino Di Matteo, che il processo è servito per "accertare dei fatti storici". Quindi per anni le aule di giustizia, dove si dovrebbe accertare invece la sussistenza di reati, sono state destinate ad altro, ovvero a (ri)scrivere la Storia. 

Affermare oggi in una sentenza che "il Ros non volle catturare Bernardo Provenzano", rimasto latitante per ben 43 anni, o che "non volle perquisire il covo di Totò Riina per dare un segnale" all'ala "moderata" di Cosa nostra, lascia il tempo che trova da un punto di vista giudiziario, semplicemente perché entrambi i fatti sono già stati al centro di specifici processi - in tutti l'ex colonnello del Ros Mario Mori era imputato - che si sono conclusi con delle assoluzioni definitive. 

Ma se dobbiamo fare gli storici, allora oggi dobbiamo anche ricordarci da dove arriva la "svolta" nelle indagini sulla trattativa. Cioè dalle "rivelazioni" mirabolanti di Massimo Ciamcimino, figlio di Vito, considerato dal 2009 una specie di oracolo che, secondo la Procura, poteva svelare - carte alla mano, "papello" compreso - tutti i contorni del "patto indicibile" siglato tra pezzi delle istituzioni e mafiosi.

Una star, Ciamcimino jr, che frotte di giornalisti inseguivano - e qualcuno ci andò pure in vacanza - sperando di poter carpire i segreti più inconfessabili, di avere lo scoop senza precedenti sui buchi neri della storia recente del nostro Paese. Frotte di giornalisti che stavano in attesa per ore dietro a certe porte della Procura, sperando che i pm - autoproclamatisi eredi, amici e figli putativi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino - mollassero una carta, un'intercettazione, un retroscena gustoso per montare 4 pagine di giornale. Frotte di giornalisti in attesa durante gli interrogatori di importanti uomini politici e addirittura al Quirinale, dove la Procura sbarcò per sentire nientemeno che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Frotte di giornalisti convinti - come quei pm - di scrivere la Storia e svelare finalmente agli italiani la "Verità" sulle stragi del 1992 e del 1993 (senza che tuttavia si sia ancora oggi riusciti a far pienamente luce su tutte quelle precedenti, da Portella della Ginestra a scendere). Facendo da cassa di risonanza a un processo che - va detto per la cronaca - in appello non appassionava quasi più nessuno e, dopo la sentenza assolutoria per i carabinieri "cattivi" e l'ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell'Utri (per il quale peraltro l'ipotesi di concorso esterno era già stata esclusa dopo il 1992 in un processo precedente) le motivazioni della sentenza hanno trovato ben poco spazio sui quotidiani nazionali. Solo una decina di anni fa, invece, la trattativa riempiva paginate e produceva titoloni. 

Non si può credere che di fronte ai racconti di Massimo Ciamcimino e del suo fantomatico "Signor Franco", nessuno avesse dei dubbi o almeno qualche perplessità. Eppure si scriveva senza batter ciglio, come se fosse stato tutto normale e lineare. Anche perché all'epoca dissentire non era per nulla facile: il fronte era compatto, si stava svelando la "Verità" e qualsiasi critica suonava come incapacità di comprendere il "Verbo", se non proprio come una forma di collusione e di intralcio alla Giustizia. Non si poteva dire - anche se lo si pensava - che tutto era semplicemente delirante. Non lo fecero almeno coloro che da cronisti si occuparono dell'inchiesta del secolo. 

Non lo fecero neppure quando fu accertato senza ombra di dubbio che buona parte dei documenti consegnati da Ciamcimino ai pm - le prove inoppugnabili - erano falsi. Quando si spiegò cioè, con una perizia, che erano stati fotocopiati centinaia di volte per "invecchiarli", che erano stati tagliati, copiati, incollati e, dunque, manipolati. Quando si disse che pure il "papello" - la prova delle prove della trattativa - non era un originale. E questo accadde nel processo per la mancata cattura di Provenzano a carico di Mori e Mauro Obinu, dove di fatto fu costruito, udienza dopo udienza, con costanti colpi di scena che allargarono il campo fino ad arrivare al sequestro di Aldo Moro nel 1978, quello sulla trattativa. Processo chiusosi appunto con due assoluzioni e una sentenza valutata con un "4 meno" dalla Procura. E, a proposito del sequestro Moro, viene da chiedersi se - alla luce della tesi accusatoria portata avanti nel processo sulla trattativa - lo Stato allora fece bene dunque a non cedere ai Brigatisti: fare ammazzare l'ex presidente del Consiglio democristiano è stato meglio che scendere a compromessi con i terroristi?

Il fronte rimase compatto anche allora, irremovibile, nonostante qualche elemento (più di qualche) di sospetto ci fosse. Un po', a pensarci bene, come accadde con il falso pentito Vincenzo Scarantino, col quale non solo si sono condannati all'ergastolo degli innocenti, ma si è costruito "il più grande depistaggio della storia d'Italia" in relazione alla strage di via D'Amelio. Solo un magistrato del pool sulla trattativa, Paolo Guido, in rottura con i suoi colleghi, decise infatti di non firmare l'avviso di conclusione delle indagini. Per il resto si andò dritti come treni, la Procura davanti e la (libera?) stampa dietro. Non ci si scompose neanche di fronte all'assoluzione dell'ex ministro Calogero Mannino (confermata in tutti i gradi di giudizio), cioè di colui che secondo la Procura la trattativa l'aveva innescata. 

Con la sentenza di primo grado sulla trattativa e Ciamcimino ormai caduto piuttosto in disgrazia si è finalmente potuto dire ciò che prima era blasfemo, ovvero che il supertestimone, colui che avrebbe dovuto svelare la "vera Verità" sulle stragi, era totalmente inattendibile. Anni di processo per scoprire - ancora una volta - ciò che si poteva intuire sin dall'inizio. 

Quante interviste e trasmissioni sul tema, con una sovraesposizione mediatica imbarazzante per intervistati e intervistatori. Quanta carne al fuoco, la trattativa che diventa addirittura la spiegazione "vera" della strage di via D'Amelio. Quanto rumore e quante conclusioni in totale contrasto con sentenze già passate in giudicato. Quanti danni per persone coinvolte nel tourbillon dei sospetti (come dimenticare la morte improvvisa di Loris D'Ambrosio e tutta la vicenda delle intercettazioni al presidente della Repubblica, che non potevano essere fatte e che furono distrutte, ma su cui si è ricamato di tutto?). E oggi, alla fine, "scopriamo" che la "Verità" è che i carabinieri del Ros avvicinarono Vito Ciamcimino (non l'hanno mai negato) per "fini solidaristici", cioè per difendere lo Stato, mica Cosa nostra.

Il "processo del secolo" ha creato delle fazioni, ma qui non vince e non perde proprio nessuno: quando si cerca la verità (nei tribunali quella giudiziaria) non esistono vincitori e vinti. Resta però che si sono persi anni, energie preziose e anche soldi dei contribuenti, per scoprire sostanzialmente l'acqua calda. Non si sarebbe dovuto tifare per nessuno, finendo per costruire carriere ed eroi di cartapesta, ma semplicemente raccontare i fatti con obiettività, non esitando a dire che certe cose erano insostenibili. Alla fine non aveva ragione il professore Giovanni Fiandaca quando disse anni fa, fuori dal coro, che il processo sulla trattativa non andasse proprio celebrato? Che era materia per storici e non penale? Oggi sembra dargli ragione persino Di Matteo. 

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