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"Spese pazze" all’Ars, Bufardeci condannato: dovrà restituire quasi 60 mila euro

Così è stato stabilito in appello dalla Corte dei Conti per l'ex capogruppo, dal 2011 al 2012, di Grande Sud. "Non affievolisce la qualificazione colposa della condotta l'esistenza di un sistema o prassi risalente nel tempo"

Condannato l’ex capogruppo regionale di Grande Sud: dovrà restituire quasi 59 mila euro. La sezione giurisdizionale d'Appello della Corte dei Conti per la Regione siciliana ha parzialmente accolto l'appello proposto da Giambattista Bufardeci contro la sentenza di primo grado e lo ha condannato, a fronte della richiesta avanzata della Procura pari a 71.689, al pagamento della somma di 58.911,10 euro da versare nelle casse dell'Ars.

La vicenda giudiziaria rientra nell'ambito del procedimento sulle “spese pazze” dei capigruppo all'Ars e trae origine dalla "illegittima utilizzazione, per finalità non istituzionali" dei contributi erogati al gruppo parlamentare dell'Assemblea regionale siciliana Grande Sud, di cui Bufardeci ha ricoperto la carica di presidente dal 16 febbraio 2011 al 4 dicembre 2012, nel corso della quindicesima legislatura.

La sentenza è stata emessa dal presidente Giovanni Coppola, relatore il consigliere Vincenzo Lo Presti. A fronte dell'originaria contestazione, da parte della Procura regionale della Corte dei conti, della somma di 71.689,37 euro, Bufardeci, in primo grado, era stato condannato al pagamento di 65.020 euro. Ad essere contestate, fra le altre, le spese per i rimborsi relativi a missioni, alberghi, ristoranti e taxi.

Inutili i tentativi delll'avvocato difensore Massimiliano Mangano di giustificare sia le spese che la mancanza di fatture e scontrini "a seguito di alcuni traslochi interni ai locali dell’assemblea". "Non può assumere rilievo la generica affermazione - si legge nella sentenza - che le spese sono state effettuate per esigenze del Gruppo” poiché i contributi “sono versati al Gruppo con preciso vincolo di destinazione (funzionamento, aggiornamento e documentazione)” e quindi per “le esigenze del gruppo”.

Nella sentenza vengono anche “bacchettate” le vecchie abitudini. “Non può valere ad affievolire la qualificazione gravemente colposa della condotta l’esistenza di un sistema o ‘prassi’ risalente nel tempo, in quanto nessuna prassi può giustificare la violazione degli obblighi inerenti la trasparenza nella gestione del denaro pubblico”.

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