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Cronaca

"Cuci e scuci": tangenti e appalti truccati, arrivano altre due condanne

L'inchiesta sul Provveditorato per le opere pubbliche. Quattro anni e mezzo per Claudio Monte, funzionario dell’ente pubblico, e 4 anni e un mese per Franco Vaiana, imprenditore. La richiesta dell’accusa è stata accolta solo parzialmente dal giudice

Un meccanismo così ben congegnato che gli imprenditori che avrebbero pagato le mazzette sarebbero persino riusciti ad ammortizzarle, quindi le “scucivano” anche volentieri. Per quel presunto giro di tangenti al Provveditorato per le opere pubbliche per la Calabria e la Sicilia ora sono arrivate altre due condanne, quelle di un funzionario dell’ente pubblico, Claudio Monte, e di un imprenditore, Franco Vaiana. Il gup Michele Guarnotta, che li ha processati con il rito abbreviato ha inflitto 4 anni e mezzo al primo e 4 anni e un mese al secondo.

La richiesta dell’accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Sergio Demontis e dai sostituti Giacomo Brandini, Pierangelo Padova e Maria Pia Ticino, è stata accolta solo parzialmente dal giudice: i pm avevano infatti invocato 8 anni di carcere per Monte e 4 anni e 4 mesi per Vaiana.

Il processo è uno dei tronconi nati dall’inchiesta “Cuci e scuci” della squadra mobile che, il 7 maggio dell’anno scorso aveva portato agli arresti. In manette era finito proprio Monte, assieme ad altri tre colleghi, Carlo Casella (che poi aveva ammesso le sue responsabilità), Carlo Amato e Franco Barberi.

Secondo la Procura, per imporre le mazzette sui lavori compiuti in diversi edifici pubblici della Sicilia – soprattutto scuole, ma anche beni confiscati e persino la caserma dei carabinieri di Capaci – sarebbero state sfruttate le procedure negoziate senza bando di gara, falsificata la contabilità e soprattutto manipolati gli stati di avanzamento degli interventi, inserendo perizie di variante. L’inchiesta era scattata dopo la denuncia di un imprenditore, Gaetano Debole, che aveva deciso di non piegarsi alle presunte richieste dei funzionari pubblici.

Altri imputati hanno già patteggiato la pena: Casella (4 anni e 3 mesi) e gli imprenditori Giuseppe Tunno e Tommaso D’Alessandro (2 anni e 10 mesi a testa). Amato, Barberi, i loro colleghi Fabrizio Muzzicato ed Antonino Turriciano, oltre agli imprenditori Giuseppe e Filippo Messina, Ignazio Spinella, Lorenzo Chiofalo e Giuseppe Pinto Vraca sono stati invece rinviati a giudizio. 

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