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Così Palermo ha portato la mafia a New York: "Gli americani avevano disprezzo per i siciliani"

Un documentario della regista francese Anne Véron risale alle origini della più potente organizzazione criminale: "Nei primi anni 1920 si registrò l'arrivo di centinaia di mafiosi cacciati dal fascismo"

"Come ha fatto la Sicilia a dare alla luce la più formidabile mafia della storia contemporanea? Ciò che è certo è che nulla sarebbe stato possibile senza il sostegno degli Stati Uniti". A parlafascisme,  regista e scrittrice francese, Anne Véron che ha dedicato alla storia di Cosa nostra due documentari che saranno trasmessi stasera sulla tv transalpina. Un lungo lavoro che è stato presentato sulle colonne di Le Monde, storico quotidiano di Francia.

Anne Veron ha parlato con i pentiti di New York e si è resa conto che i rapporti "fangosi" (come vengono definiti dal giornale) su entrambe le sponde dell'Atlantico erano "poco chiari". "Gli americani - dice - avevano disprezzo per i siciliani". Per capire meglio ha deciso di tornare alle origini di questa relazione singolare. Il suo documentario si apre con le immagini di un'Italia appena nata (1871) e soprattutto molto povera. "Spinti dalla miseria - si legge su Le Mond - 4 milioni di italiani, l'80% dei quali del Sud, emigrano negli Stati Uniti, Paese bisognoso di manodopera. All'inizio del 20° secolo così New York divenne la più grande città 'italiana' al mondo".

E una grande fetta di questi italiani, da 30 a 40 mila, erano ex criminali, ricostruisce Le Mond e il documentario di Anne Veron: su questo terreno fertile si svilupperà The Black Hand ("la mano nera"), antenata della mafia italoamericana. "Si registrò l'arrivo di centinaia di mafiosi nei primi anni 1920, cacciati dal fascismo, proprio mentre gli Stati Uniti avevano appena introdotto il proibizionismo. Venti anni dopo, Lucky Luciano negoziò la pace alla fine della guerra tra le bande, per facilitare gli "affari". Da qui la nascita della mafia italo-americana, Cosa Nostra". Storici e giornalisti, tra cui Selwyn Raab del New York Times (oggi 84enne) hanno cercato a lungo di svelare i misteri della mafia "che obbedisce alla legge del silenzio" e hanno cercato di trovare spiegazioni parlando del coinvolgimento nello sbarco alleato in Sicilia o nei rapporti con il cantante Frank Sinatra.

Nella seconda parte del documentario viene mostrato un Paese, gli Stati Uniti, devastato dalle droghe. Si parla di Joe Pistone, alias Donnie Brasco, il poliziotto sotto copertura più famoso. Questo agente dell'Fbi ha lavorato sotto copertura per sei anni (1976-1981) infiltrandosi nella famiglia Bonanno, e in maniera minore anche nella famiglia Colombo (originaria di Villabate), due delle Cinque Famiglie della Mafia di New York. Pistone fu scelto come agente perché era di origini siciliane e parlava fluentemente l'italiano.

Spazio poi per l'ascesa di Totò Riina, boss del clan di Corleone. "Sarà condannato in contumacia alla fine del processo "storico" dei 475 mafiosi che fu aperto nel febbraio 1986 in Italia - spiega Le Mond - e conduce, due anni dopo, a 2.650 anni di pene detentive cumulative. Riina è in fuga quando il verdetto è confermato in cassazione, nel 1992. Poi le stragi in cui morirono Falcone e Borsellino. Questa incredibile violenza fece ribollire la popolazione. 'E' tutto finito, non fatemi dire più nulla', disse a quel punto il giudice Antonino Caponnetto con un filo di voce. Sei mesi dopo, Toto Riina venne finalmente arrestato dopo ventisei anni di latitanza".
 

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