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Tre ore al bar con Maurizio Schillaci: “Quando Boniperti prese il prof a Totò”

Seduto ad un tavolino alla Champagneria il cugino dell'eroe d'Italia '90 si racconta. "Quando ero in giornata non mi prendeva nessuno. Che spasso quando Zeman ci parlava in dialetto. Il mio sogno? Un pranzo con le mie figlie"

Maurizio Schillaci è un uomo buono. Lo guardi negli occhi e pensi questo. Dorme sui treni, ha mandato al diavolo la carriera penalizzato da problemi fisici e poi caduto nel tunnel dell’eroina. Lui che coi tunnel aveva fatto ammattire i suoi avversari. Adesso dorme sui treni fermi alla stazione di Palermo. Raccatta soldi per vivere e fumare. E chissà per cos’altro. Ne avrebbe di motivi per mandare a quel paese un po’ di gente. Anche se stesso ovviamente. Ma Maurizio è un pezzo di pane e non ha rancori verso nessuno. Lo Schillaci tenebroso è un uomo buono. E la sensazione rimane quella anche alla fine di una conversazione a strappi durata tre ore e raccontata da Frank sul blog Amarcord1983.

L’AMICO SCRITTORE. Siamo seduti a un tavolino in un pub alla Champagneria, di fronte al Teatro Massimo. Con Maurizio c’è un amico, uno di quelli che dorme con lui nei treni. Ha una storia anch’egli che meriterebbe un romanzo. Ci limitiamo a dire che viveva dall’altra parte del mondo fino a qualche mese fa e che è venuto in Sicilia per presentare un po’ di suoi scritti a una nota casa editrice. E’ uno scrittore e stava scrivendo la biografia su Maurizio Schillaci, ma adesso non sa più cosa farne. “L’onda mediatica fra qualche giorno finirà e non avrà senso a quel punto fare uscire il libro. Dovrei finirlo in pochi giorni, ma ho altre cose da portare avanti”.

GLI SCHEMI DI SCOGLIO E IL RAMINO CON ZEMAN. “Il miglior difensore? Nessuno – risponde Maurizio – perché quando ero in giornata non mi prendeva nessuno. La palla andava sempre dritto, ma ero io con le mie finte di corpo a ubriacare gli avversari. Il miglior portiere? Terraneo, che senso della posizione che aveva”. E poi una serie di nomi sparsi qua e là: “Caso, che gol che mi fece fare, Camolese, che scarso che era”. Poi gli allenatori: “Zeman lo chiamano il muto, ma quanto parlava con noi. E poi che spasso quando lo faceva in dialetto siciliano. Quanti soldi ha perso contro di me a ramino, calava soltanto quando aveva la chiusura in mano”. Tattica estrema anche in un gioco di carte. “Scoglio era un patito di calcio, non dormiva prima delle partite. Una notte mi chiamò e mi mostrò un foglio pieno di scarabocchi e frecce: ‘Maurizio, devi fare questo, devi fare quello’. Non si capì nulla, ma l’indomani col Messina battemo il Bari 3-0″.

ERBA E PERIODO D’ORO A LICATA. Anche quando si parla della parte più cupa, di quello stopper chiamato droga che è riuscito a marcarlo per tutta la vita, Maurizio non si scompone, rimane calmo, non accusa. “A Licata, a volte, entravo in campo dopo aver fumato erba. All’epoca non era ancora doping, Non capivo quale fosse la curva e quale la tribuna. Poi però giocavo bene, mi chiamavano Gazzella, fu il mio periodo migliore. Ero quello che Maradona era per Napoli”.

L’EROINA A SALERNO. Ed è proprio vicino Napoli, quando va a giocare nella Juve Stabia, che Maurizio si perde definitivamente. “Da solo andavo a Salerno, vedevo gli eroinomani per strada e gli dicevo di accompagnarmi a comprarla, offrendone un poco anche a loro. Mi cacciarono dal ritiro una sera e mi mandarono cinque giorni a Palermo. Un amico del mondo del calcio ci mise la buona. ‘Riprendetelo Maurizio, ha smesso’. Poi mi fecero un controllo, il massaggiatore piombò alle 5 del mattino nella mia stanza e mi fece un prelievo di sangue. Da lì la rescissione del contratto”. E una retrocessione della qualità della vita che non si è più arrestata.

IL PROF DI ITALIANO PER TOTÒ. Poi inevitabilmente si arriva a Totò, compagno di squadra proprio per due anni a Messina. Maurizio ha un lessico ricco, non commette errori di grammatica. Tuo cugino non parlava proprio così, Maurizio? “Boniperti  - risponde – prese un professore di italiano a Totò quando giocava nella Juventus. Ma dopo due mesi l’insegnante si arrese: ‘Questo qui non apprende niente’ “. Maurizio lo ricorda con pudore e soltanto perché ha davanti una mia domanda. Non vuole infangare il cugino, anzi.

LA BUFALA SU LENTINI. Vi ricordate la storia di Lentini, dell’incidente che quasi costò la vita al tornante del Torino e alla visita in ospedale di Rita, all’epoca moglie di Totò Schillaci? Sentite Maurizio: “All’epoca i giornali ci ricamarono sopra. Tacconi, Baggio, Lentini e Totò uscivano insieme a Torino, accompagnati dalle mogli. Erano quattro coppie di amici. Nel momento in cui Lentini ebbe l’incidente, mio cugino e Rita erano già quasi separati, ma l’amicizia con Lentini era rimasta. Non ci fu nulla a parte questo, ma si inventarono di tutto”.

GLI SPAGHETTI CON LA FIGLIA. Maurizio Schillaci non si sta inventando niente, invece. Vive da barbone, sa di aver fatto tanti errori, ma spera di rimontare. “Sogno uno stipendio normale per poter invitare le mie figlie Giada Alessia a casa e offrirle un piatto di spaghetti”. Chi può lo aiuti.

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