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Giovedì, 28 Marzo 2024
Calcio

Dalla Bacigalupo all'eternità: le mille volte di Zeman, storia di un Maestro non sempre compreso

Il boemo ha festeggiato la storica panchina nel suo Foggia. Icona di un calcio romantico e utopico, che lo ha portato anche ad entrare entrare a gamba tesa contro il sistema e i potenti del pallone. Tutto è partito da Palermo

Di lui parliamo tutti ogni volta che scende in campo la Nazionale dell'ultimo decennio. Verratti, Insigne, Immobile, tre campioni d'Europa della notte di Wembley, oggi sono tre star del calcio anche per merito suo. Per quell'incontro infiocchettato dal destino nell'estate del 2011 a Pescara.

Ma Zdenek Zeman non è solo il Maestro dei tre talenti lanciati in Abruzzo dieci anni. E' una storia, anzi mille storie. Come le sue panchine, che da qualche giorno hanno raggiunto i tre zeri. Queste le sue presenze: 358 panchine in serie A, 320 in B, 175 in serie C. Settantotto in Coppa Italia, 43 nella Coppa Italia Serie C, 24 nelle Coppe europee.

Il rivoluzionario del calcio italiano venuto dalla Boemia diventa uomo a Palermo. Arriva a 20 anni alla fine dei mitici Sessanta, con la sorella Jarmila. A Palermo lo aspetta lo zio Čestmír Vycpalek. Il giovane Zdenek lo va a trovare e passare le vacanze estive insieme, ma proprio in questo periodo scoppia l'insurrezione politica che porterà ai moti della cosiddetta Primavera di Praga. Nella notte fra il 20 e il 21 agosto 1968 l'Urss invia reparti militari per ristabilire l'ordine. Questa instabilità politica - riporta Wikipedia - lo convince a trasferirsi e rimanere definitivamente in Italia. Qui otterrà la cittadinanza italiana nel 1975, nonché la sua laurea, all'Isef di Palermo con una tesi sulla medicina dello sport, con il massimo dei voti.

Diventa professore di educazione fisica all'Istituto Gonzaga di Palermo. In città conosce Chiara Perricone, sua futura moglie, che gli darà due figli, Karel, anch'egli divenuto allenatore, e Andrea. Conosce la donna, all'epoca una nuotatrice, nel periodo in cui è alla guida della società di nuoto Lauria. Le sue prime esperienze come allenatore in Italia risalgono ai tempi di Cinisi, Bacigalupo su segnalazione di Marcello Dell'Utri, Carini, Misilmeri ed Esakalsa. Poi prende il patentino di allenatore professionista a Coverciano nel 1979. E grazie anche all'intercessione dello zio, è chiamato ad allenare le giovanili del Palermo, dove resta fino al 1983 allenando Giovanissimi e Primavera. Nel marzo del 1981 l'allenatore della prima squadra del Palermo Fernando Veneranda viene esonerato, ma Zeman non può prendere il suo posto in panchina poiché qualche giorno prima era stato squalificato per aver alzato la voce durante una partita della Primavera. In panchina, in occasione della partita vinta per 3-1 sul Milan, ci va così Erminio Favalli, ma la gara era stata comunque preparata tatticamente proprio da Zeman.

E nel 1983 sempre in Sicilia, a Licata, cominciò a predicare un verbo che ancora oggi risuona fastidioso nelle orecchie di tanti addetti ai lavori: giovani, fatica, attacco. Risale a un antico Licata-Akragas la prima delle sue mille panchine. Tutto il resto è noia. Almeno per lui, instancabile fumatore, sempre in campo con il giaccone d'ordinanza e la tuta, da 38 anni a questa parte.

Dicono di lui che non abbiamo mai vinto nulla. Eppure c'è chi lo ama, come non si è mai amato nessuno tra gli Dei del calcio. Chieidetelo ai tifosi del Foggia, che poche giorni fa ne hanno celebrato la candelina numero 1000 allo Zaccheria, il suo tempio, con la vittoria numero 379 (oltre un terzo delle 1000 vissute in panchina, dato riferito solo alle gare con squadre italiane): secco 3-0 del suo contro la Paganese. Per la cronaca, il suo ultimo Foggia in C, come al solito imbottito di ragazzini e sconosciuti, ha centrato il quinto risultato utilie consecutivo e attualmente si trova al 6° posto in classifica nel girone C con 21 punti.

In Puglia ha dato uno scossone al sistema calcio arrivando in serie A all'inizio degli anni '90 e metteno in crisi anni di certezze di presidenti, colleghi e addetti ai lavori. Signori, Di Biagio, Baiano &co. sfiorarono l'Europa, prima di andare a rimpolpare le rose delle grandi del nostro calcio. A Pescara, nella sua prima apparizione, ha restituito la serie A ad una città che mancava da vent'anni, segnando gol a raffica e chiudendo al posto davanti a Torino e Samp, per rendere l'idea. A Roma, su entrambe le sponde, ha lottato per lo scudetto e conquistato l'Europa. Ma anche lì le piazze si sono divise: qualcuno ancora oggi lo ama e lo rimpiange, altri lo odiano.

Diventato l'emblema degli antijuventini per le sue pesanti accuse al sistema bianconero alla fine degli anni '90, il Boemo non si è mai tirato indietro davanti ai microfoni con le sue bordate, a costo di essere "tagliato" dal giro delle grandi.

Straordinario il suo rapporto con Francesco Totti, rigenerato dai suoi metodi nel 2012, a quasi 40 anni: il Pupone si è guadagnato, con i famosi "gradoni" del boemo, un finale di carriera al quale non immaginava nemmeno di poter ambire.

La serie A l'ha ritrovata per l'ultima volta nel 2017, subentrando a Oddo alla guida di un Pescara senza speranze alcune di salvezza. Nella stagione seguente, ripartendo con i soliti giovani imberbi, ha chiuso a marzo sopraffatto da polemiche interne e le solite incomprensioni con il presidente di turno. Eppure in quella squadra, la sua ultima in B, ha lanciato un certo Leo Mancuso, oggi in A ad Empoli (con Simone Romagnoli, altro giovane lanciato a Pescara), ma anche Luca Valzania, oggi uno dei migliori centrocampisti della B (Cremonese, ma è dell'Atalanta).

Il tratto distintivo è rimasto sempre lo stesso. Anche dopo tre anni lontano da una panchina, a 74 anni suonati, non ha smesso di rischiare, di sfidare tutti, di vivere insipirando insieme il profumo dell'erba degli stadi italiani e della sua inseparabile sigaretta. Nel nome del 4-3-3 e del calcio fatto con i giovani e con la corsa. Segnare un gol più degli altri, sempre: conta solo quello. A rischio di non diventare mai "un vincente".

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