"Nei pochi metri tra la Stazione e via Roma capisco che ai palermitani piace vivere nella munnizza"
La giornata sta per iniziare, il treno è quasi vuoto e sta per raggiungere la stazione di Palermo centrale. Lo capisci guardando i binari dal finestrino che il treno si avvicina alla fermata perché sono sempre più stracolmi di rifiuti: mozziconi di sigarette, sacchetti di plastica, imballaggi, ma anche brick di succhi di frutta, confezioni di yogurt… Giuro che una volta ho trovato anche lo scatolone di un elettrodomestico, ma ci sarà sicuramente di peggio.
Scendo dal treno - dopo soli 55 minuti per fare meno di 30 chilometri (3,40€, solo andata) - e un signore sulla cinquantina dà l’ultimo tiro alla sigaretta, la getta tra i binari (mi pare ovvio) ed entra nel treno ancor prima che scendano tutti i passeggeri. Da lì in poi, un paio di minuti di tregua: attraversare la stazione centrale prima di arrivare in strada è praticamente una gioia. La stazione è pattugliata dalle forze dell’ordine, una marea di turisti felici (bah!) cammina nella direzione opposta alla mia per andare a prendere qualche treno. Il pavimento è pulito (giuro) e tutto va per il meglio. Poi si supera l’uscio. Si torna allo schifo.
Mi avvicino alla banchina di piazza Giulio Cesare e metto un piede sulle strisce pedonali: inizia la partita a poker. Mi devo concentrare e devo essere sicuro di me, altrimenti quale automobile mai mi farebbe attraversare… Vado. Due ragazzi su uno scooter - senza casco - stanno sfrecciando, mi vedono, mi suonano, mi scansano e mi inveiscono contro. Primo scoglio superato. Anzi no. Non faccio in tempo a fare un altro passo che un Suv bianco guidato da una donna sulla quarantina frena bruscamente, sbatte le mani sul volante infastidita, sebbene sappia di avere torto, infatti non incrocia il mio sguardo e gira la testa di lato appoggiandola al braccio teso sul volante. Se avessi attraversato senza strisce, non si sarebbe infastidita. A Palermo funziona così, giuro.
Finalmente raggiungo la piazzetta, supero la siepe a forma di arco e proprio sotto il monumento ci sono due signori sulla sessantina, vino in cartone nella mano destra, bicchiere in plastica nella mano sinistra. Attorno a loro, bottiglie di birra vuote rovesciate a terra e nei gradoni alla base del monumento. Fortunatamente sulla destra c’è un cestino dei rifiuti. Stracolmo. Dentro c’è di tutto, a terra c’è di più. Faccio una leggera curva a destra per raggiungere le altre strisce pedonali che mi porteranno in via Roma, quelle che si uniscono all’incrocio con via Lincoln.
Passo in mezzo ai rifiuti cercando di non respirare, ma adesso inizia l’altra lotta. Qui, però, almeno ci sono i semafori, e allora attendo pazientemente il verde per i pedoni (o meglio, il rosso per le auto, perché no, in quell’incrocio così pericoloso non c’è un semaforo pedonale) e attraverso il primo pezzo di strisce pedonali e poi il secondo, senza troppi problemi. Se c’è una cosa che gli automobilisti di Palermo, tendenzialmente, rispettano, quello è il semaforo. Raggiungo, quindi, via Roma, una delle strade più importanti di Palermo: degradata, sporca, abbandonata, piena di saracinesche abbassate. E rifiuti per strada. Rifiuti di ogni tipo di cui solo a me sembra importare. Una mattina ho trovato anche delle specie di coriandoli luccicanti in plastica di quelli che si usano per le feste di laurea. Qualcuno forse ha pensato di festeggiare la laurea in via Roma, oppure boh.
Passo sopra le strisce pedonali di ogni traversina sperando che nessun abitante del luogo rivendichi il suo diritto a non darmi la precedenza perché “ccà cumannu io” (“qui comando io”) fino a raggiungere la piazzetta davanti al Lidl: qui vige una legislazione a parte. Un Suv si è parcheggiato perpendicolare alle strisce pedonali per un pezzo e per l’altro sopra il marciapiede. Non c’è modo di passare, devo deviare dalla strada e per ritornare nella piazzetta devo sorvolare i monopattini buttati a terra di proposito da qualcuno con effetto domino. Calpesto non so quanti rifiuti, scendo dal marciapiede e mi accorgo che molta parte dei rifiuti nella piazzetta si è andata ad incastrare nel tombino. Rifiuti che finiranno in mare, verranno mangiati dai pesci che a loro volta verranno mangiati da noi che al mercato mio padre comprò. Rifiuti che, alla prima pioggia, intaseranno gli acquedotti causando gli ormai consueti allagamenti.
Cerco di non pensarci troppo e torno a riprendere la mia direzione. Di lì in poi niente di nuovo: gente che tira fuori uno scontrino dalla tasca e lo lascia andare al vento, una moto che non si ferma allo stop, un’auto che supera a destra sfrecciando, un automobilista che suona insistentemente un millesimo di secondo dopo che sia scattato il semaforo verde, un negoziante che con la scopa spinge verso la strada i rifiuti che si erano accumulati vicino all’ingresso della sua attività. E tanto altro. Con 3 minuti di ritardo arrivo in ufficio, sudato e affranto. Inizio a lavorare, sono contento: almeno fino alle 18 non devo vivere quello schifo. Schifo a cui nessuno sembra fare caso.