Un medico empatico? "Riduce lo stress dei pazienti e migliora gli effetti delle terapie"
Il rapporto tra medico e paziente e il potere terapeutico della relazione: i medici che sanno ascoltare e mostrano di essere interessati ai propri pazienti hanno una marcia in più.
di Marina Fontana Cona
Sono sempre stata convinta che un buon rapporto tra medico e paziente basato soprattutto sulla fiducia e l’empatia può, al pari di una buona medicina, combattere il dolore, il senso di malessere e lo stress dei pazienti, e può fare la differenza nella risposta dello stesso alle cure. Una sorta di effetto "placebo vivo" che può consentire di ridurre il ricorso ai farmaci e anche agli esami clinici, quando tutti questi non siano necessari. Per secoli la medicina è stata quasi esclusivamente un rituale tra il paziente e il suo medico, che svolgeva prevalentemente il ruolo di mediatore del dolore e della malattia con un processo fatto di parole, contatto visivo e soprattutto basato sulla fiducia e sulla speranza.
Oggi sappiamo, grazie agli studi di Fabrizio Benedetti (professore presso il dipartimento di neuroscienze Rita Levi Montalcini dell’università di Torino), che tutto ciò è dovuto alla presenza di meccanismi cerebrali che sono alla base dell’effetto placebo. Il fenomeno dell’autosuggestione in una persona in attesa di una cura è in grado di mettere in circolo una serie di farmaci naturali, prodotti dal nostro sistema neuroendocrino, come serotonine, endorfine ed endocannabinoidi, capaci di diminuire il dolore e l’uso di antidolorifici e favorire il processo terapeutico. Lo sapeva molto bene anche Socrate quando si avvicinò al giovane Carmide proponendosi di aiutarlo a curare il suo forte mal di testa grazie a un phàrmakon, composto da un’erba e da un incantesimo.
Può suonare molto fantasioso e lontano dalla realtà l’utilizzo di una formula magica per guarire un malanno; ma se scaviamo oltre la superficie scopriamo che questo incantesimo, in grado di esercitare una forza di guarigione al pari di una vera e propria magia, altro non è che il discorso retorico con cui il medico dà ragione della cura che propone. Il dialogo, dunque, appare come la chiave di volta della terapia stessa. La capacità di creare un rapporto di fiducia da parte del medico, e allo stesso tempo la capacità di essere empatici, può trasformarsi in una medicina “senza effetti collaterali”, efficace per lenire il dolore, il senso di malessere e lo stress degli ammalati. A sostenere l'importanza del rapporto medico-paziente è uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Patient Education and Counseling alla fine del 2012.
La ricerca ha coinvolto un gruppo di volontari che sono stati assegnati casualmente a due diversi tipi di colloquio con un medico prima di sottoporsi a una risonanza magnetica. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista scientifica Patient Education and Counseling mostrano le reali differenze provocate da un diverso tipo di rapporto tra medico e paziente. Gli appartenenti al primo gruppo, quando si sono recati dal medico, sono stati informati circa il tipo di esame cui si sarebbero sottoposti. Hanno poi affrontato insieme i possibili dubbi e le preoccupazioni sulla procedura. Sono anche state quindi poste loro delle domande aperte alle quali potevano rispondere parlando liberamente di sé e delle proprie preoccupazioni, del proprio stato salute eccetera.
Gli appartenenti al secondo gruppo, invece, sono stati solo informati su dettagli tecnici riguardanti l’esame clinico e sono state poste loro domande riguardanti esclusivamente la propria storia clinica e quali farmaci stessero assumendo. I partecipanti, dopo questa prima fase, sono stati invitati a compilare un questionario per valutare il grado di fiducia riposta nel medico. I volontari appartenenti al gruppo che aveva dialogato di più con il medico hanno riportato una maggiore soddisfazione e fiducia nel proprio medico, rispetto ai soggetti del secondo gruppo. “Questo è il primo studio ad aver preso in esame una relazione con al centro il paziente, da un punto di vista neurobiologico. E’ importante per i medici e gli altri che sostengono questo tipo di rapporto con il paziente - spiega in una nota Michigan il dottor Issidoros Sarinopoulos, professore di radiologia presso la Michigan State University - dimostrare che esiste una base biologica".
Una seconda fase, che prevedeva la misurazione delle risposte cerebrali a uno stimolo dato per mezzo di lievi scosse elettriche, e misurato tramite la Mri (la risonanza magnetica per immagini), ha mostrato che i pazienti del primo gruppo quando avevano modo di vedere un’immagine del proprio medico reagivano in misura minore. Questi stessi partecipanti hanno segnalato di sentire meno dolore, rispetto al gruppo di controllo. "Abbiamo bisogno di condurre ulteriori ricerche per comprendere questo meccanismo. Ma questo - sottolinea Sarinopoulos - è un buon primo passo che mette un po’ di peso scientifico dietro i casi di empatia con i pazienti, il conoscere loro e costruire la fiducia".
In linea generale ciò che viene evidenziato in questo studio è una migliore risposta agli stress, come quelli che possono essere ingenerati da un esame clinico complesso. Allo stesso tempo, si è mostrato come anche la percezione del dolore fosse ridotta nel caso dei pazienti che avevano un più profondo rapporto con il proprio medico. Comunicare efficacemente consente quindi di ridurre i momenti di scontro con il paziente e le incomprensioni e la buona relazione e le parole, possono dare una gratificazione immediata e una sensazione di maggiore efficacia. Il dialogo medico/paziente sembra quindi rendere gli ammalati più sereni, li tranquillizza e li predispone ad affrontare con maggiore positività e grinta il periodo di cure.