Caro Salvini, quella mascherina di Borsellino poteva evitarla...
Riceviamo e pubblichiamo
Il ricordo e la memoria. Ecco ciò che non può essere sconsacrato e offeso. Tempi diversi ma di certo legati da un unico filo conduttore, il vivere in una terra che ha pianto i suoi martiri. Una terra lacerata-derisa e sconfitta, dove l’ombra impercettibile del male si imprime in ogni spazio, in ogni anfratto di via, lungo vicoli bui e maleodoranti ma anche in stanze in stile liberty che ostentano ricchezza. Due generazioni a confronto che vogliono dire la propria su ciò che non deve essere fatto. Padre e figlia. Sergio ed Emanuela.
Lui il 19 luglio del 1992 c’era, Emanuela ha vissuto i suoi anni nell’immenso rispetto e nell’ammirazione di questo uomo. Borsellino tra i tanti martiri che diedero la propria vita per questa nazione, non uno dei tanti, lui era il Giudice Paolo Borsellino. Quel pomeriggio lo ricordo bene, come ogni buon palermitano che visse quegli anni, è uno di quei ricordi scolpito e inciso nella mia mente. Dopo la morte del giudice Falcone, questo nuovo eccidio era nell’aria e soltanto una forte presenza e risposta dello Stato avrebbe potuto evitare tutto questo, ma per noi palermitani lo Stato cominciava a perdere i propri pezzi. Cosa ho provato io come tanti palermitani, credo sia indescrivibile. Un affronto, un dolore fisico e morale, la perdita di un caro senza volto, sì perché per me lui era il Giudice. L’immagine della giustizia della rivalsa del bene sul male, un’icona, un supereroe che non ho mai conosciuto e che mai avrei visto personalmente, ma era parte di me in quanto palermitano. Dopo questo preambolo mi chiedo: perché indossare quella mascherina? È vero il detto “parlane male ma parlane spesso”, ma spingersi sino a questo punto che senso ha? Profanare un luogo di memoria tanto caro a noi palermitani, era necessario? Ora mi spiace molto averla citata in queste poche battute in quanto contribuisca a rafforzare la sua immagine pubblica, tuttavia tutto ha un limite. Mi creda, Signor Salvini, avrebbe potuto evitare.
Sono nata dieci anni dopo la strage di via D’Amelio, giusto nello stesso mese. Di quel giorno, a differenza di mio padre, non possiedo alcun ricordo se non da fonti indirette che hanno vissuto l’accaduto. Sono state proprio queste fonti, vive testimonianze ad avermi permesso di comprendere quanto sarebbe stato importante il mio ruolo futuro da cittadina italiana, con il “peso” di essere nata e cresciuta in Sicilia: la memoria. È la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che mi ha permesso di scoprire che la nostra non è un’isola di “non vedo, non sento, non parlo”. È la memoria che tiene viva la società, è la memoria ad aver il compito di gratificare, implicitamente e non, chi ha dato la vita seguendo i propri ideali fino alla fine e sarà proprio la memoria a definire la nostra società odierna in un futuro prossimo.
Di recente è stata sfruttata la memoria di Paolo Borsellino in una delle modalità peggiori che possano esistere, ossia come un mezzo pubblicitario da parte di un soggetto che da sempre e per sempre deplora ciò che siamo noi siciliani. Improvvisamente, i meridionali che fino a qualche tempo fa erano solo parassiti con falsi lavoratori e non in grado di comprendere l’italiano, sono spariti e al loro posto è apparsa invece la necessità di ricordare i valori e la forza d’animo di chi ha dato tanto a questo Paese. Probabilmente la fortuna della persona in questione è data dal fatto che molti dimenticano, ma nel cuore dei valori del “fardello del siculo”, ciò non accade e non accadrà mai. Memoria e valori, sono questi a tener ancora acceso il fuoco che tanto ci contraddistingue. Abbiamo il dovere morale di difendere ciò che ci hanno lasciato tutti coloro i quali hanno sempre lottato al fine di rendere libera questa regione, sempre senza paura e pronti ad affrontarne le conseguenze.
Sergio e Emanuela