Intervista al dottore Marchesa: "Il mio sogno? Dare scacco matto al cancro"
Il dottore Pierenrico Marchesa, che dirige la struttura di Chirurgia generale a indirizzo Oncologico del Civico si racconta
di Marina Fontana.
Incontrare il dottore Pierenrico Marchesa non è impresa facile. Occorre tempestarlo di telefonate, riuscire a trovare il momento giusto in cui potrà dedicarti un po' del suo tempo, fissare un appuntamento, e poi sperare che riesca a rispettarlo, rincorrendolo tra i suoi innumerevoli impegni giornalieri. Per il suo lavoro non bastano le classiche 24 ore, delle quali arriva a dedicarne anche 14 alla sala operatoria. Pierenrico Marchesa, detto Pico, ha un sogno che porta con sé da quando alcuni anni fa decise di lasciare la sua Torino per raggiungere la Sicilia.
"Fin da piccolo restavo affascinato dai medici che venivano a casa quando qualcuno stava male e ho sempre pensato che la Medicina e la specializzazione in Chirurgia sarebbero state la mia strada. La Chirurgia oncologica è una sfida, un lavoro che quotidianamente attrae in modo irresistibile chi, come me, ha dichiarato guerra continua al cancro, il principale 'big killers' dei nostri giorni".
Classe 1958, nato a Torino, sposato e con due figli, è un chirurgo di eccellente professionalità medica. Dedica grande attenzione alla "persona" ammalata che riesce ad incoraggiare e consolare con una parola affettuosa, una carezza, un piccolo gesto che, per chi sta soffrendo, diventa un invito a non mollare. Un atteggiamento empatico fondamentale che facilita l'alleanza nel rapporto medico-paziente. Dallo scorso mese di gennaio Marchesa è tornato a Palermo, per dirigere la struttura di Chirurgia generale ad indirizzo Oncologico dell'ospedale Civico.
Il suo nuovo incarico, ci parli del suo sogno e delle sue ambizioni.
"Ho la convinzione che ci siano una serie di condizioni che ci consentano di creare un polo oncologico di vera eccellenza per il Sud. La sede è nuova, strutturalmente molto valida e ben organizzata, con ambienti curati e all'avanguardia. Mi trovo a lavorare gomito a gomito con dei grandissimi e validissimi professionisti. Vorrei riuscire a fare breccia nell'immaginario collettivo affinché anche a Palermo ci possa una struttura oncologica di eccellenza, come a Milano, Aviano, Roma (i centri più celebrati in Italia). Il mio sogno, che è anche la scommessa del mio lavoro quotidiano, è la ferma volontà di fare 'eccellenza' in Sicilia, puntando sulla chirurgia laparoscopica anche per gli interventi più complessi, per assicurare al paziente un recupero più rapido.
Professor Marchesa, ci parli di lei e del suo passato. Come è arrivato in Sicilia?
"Mi sono laureato in Medicina e chirurgia a Torino, specializzato in Chirurgia generale a Milano e in Chirurgia sperimentale e Microchirurgia a Pavia. Ho iniziato la mia attività alle Molinette di Torino. Poi due stage di alta specializzazione, uno a Parigi e l'altro a Cleveland negli Usa. Rientrato all'ombra della Mole, ho avuto l'onore di lavorare come aiuto del professor Mauro Salizzoni, uno tra i migliori esperti italiani di Chirurgia epatobiliare e incontrastato re della Chirurgia trapiantologica epatica in campo europeo. In Sicilia sono arrivato ormai nel lontano 2000, quando si creò l'opportunità di dirigere un reparto di Chirurgia epato-bilio-pancreatica all'ospedale Civico di Palermo. L'idea fu lanciata dall'allora personalità più autorevole della gastroenterologia palermitana, il professore Luigi Pagliaro, incontrato partecipando a un congresso di chirurgia epatica a Torino, che in un momento conviviale disse che sarebbe stata una bella cosa se ci fossero stati dei giovani chirurghi interessati a venire a lavorare a Palermo per migliorare e ampliare l'offerta chirurgica della città. E sulla scorta di questo, un po' rincorrendo l'ambizione personale, decisi di mettere la mia esperienza a disposizione della città siciliana partecipando a questo concorso che ho vinto. Ho quindi diretto, sempre nella stessa azienda ospedaliera, la Chirurgia d'urgenza e quella oncologica, con un intervallo - tra il 2005 ed il 2007 - durante il quale sono stato responsabile del servizio della Chirurgia addominale dell'Ismett. Nel 2009, per motivi familiari, mi sono trasferito a Milano dove ho diretto un reparto di Chirurgia presso il Gruppo Humanitas. Lasciare Palermo mi ha fatto capire quanto fossi affezionato e radicato al tessuto palermitano. A Milano gran parte della mia attività riguardava pazienti che arrivavano dalla Sicilia: in un anno sono state almeno cento le persone che mi hanno contattato per essere operate. Questa cosa mi ha fatto riflettere e quando nel 2010 si è presentata l'opportunità, ho preso la decisione di ritornare in Sicilia a dirigere il reparto di Chirurgia generale e oncologica dell'ospedale di Cefalù, dove ho trascorso gli ultimi anni. Da gennaio sono rientrato a lavorare all'ospedale Civico, nell'azienda dove ero già stato. Sono uno dei pochi esempi in cui un professionista ritorna a lavorare per la terza volta nella stessa azienda, rifacendo per tre volte un concorso pubblico che poi ho vinto.
I casi di successo che ricorda di più?
Tutti i casi, anche i più semplici, che si concludono positivamente sono motivo di soddisfazione. Penso che tutti i chirurghi abbiano ricordi più o meno netti di molti pazienti che hanno operato. Tuttavia non posso dimenticare il primo prelievo di rene per trapianto da donatore vivente eseguito in Sicilia con la tecnica laparoscopica quando lavoravo all'ospedale Civico in collaborazione con il Policlinico. I casi di due donne alle quali, nel corso della gravidanza, vengono diagnosticate patologie neoplastiche: nel primo caso due tumori neuroendocrini a entrambe le ghiandole surrenaliche e nel secondo un voluminoso tumore retroperitoneale di natura sarcomatoide. In entrambi i casi le pazienti sono state operate: la prima ha subito l'asportazione di entrambe le neoformazioni con tecnica laparoscopica (primo caso in Sicilia eseguito con tecnica laparoscopica ndr) e la seconda è stata sottoposta ad un complesso intervento di resezione multiviscerale. Entrambe la donne hanno portato a termine le loro gravidanze. Tra l'altro nel primo caso, nonostante i genitori fossero sordomuti, è nato un bambino normodotato, mentre nel secondo è nato un bambino di circa 4 chili che oggi ha anche un fratellino e una mamma assai indaffarata.
Questi anni siciliani sono stati per lei anni di soddisfazioni o di guerra?
Direi l'uno e l'altro. Prevalentemente di soddisfazioni, e anche i momenti difficili li paragonerei a dei combattimenti quotidiani, tra le mille piccole difficoltà, necessari per portare avanti il proprio impegno. Sicuramente lavorare in una città come Palermo, e in una terra come la Sicilia, è un po' più difficile rispetto ad altri posti, perché ci sono effettivamente alcune carenze e difficoltà organizzative e strutturali, ma allo stesso tempo - quando riesci a realizzare determinate cose - la soddisfazione è maggiore.
Ha lasciato la sua città per scommettere sulla Sicilia. Ha mai avuto ripensamenti?
Direi che il bilancio complessivo è quello di aver fatto la scelta giusta. È chiaro che ogni tanto, nei momenti di difficoltà, capita di avere dei ripensamenti, come credo in generale per tutte le vicende della vita. Penso che l'atteggiamento che si debba tenere sia quello che ti porta a ritrovare la forza all'interno di se stessi, per portare avanti i propri obiettivi a prescindere dalle difficoltà del momento. Amo questa città e amo il contributo che le riesco ad offrire.
Parliamo di chirurgia dei tumori. Qual è la situazione della chirurgia oncologica all'inizio del terzo millennio? Ci illustri luci e ombre.
La chirurgia oncologica del terzo millennio è una chirurgia che deve sfruttare ad ogni modo le innovazioni tecnologiche che la ricerca ci mette a disposizione. Sicuramente è una disciplina che, per quanto in maniera un po' di parte, ritengo di un'importanza sostanziale nella cura dei tumori e un'arma che deve essere utilizzata in modo multidisciplinare. La cura di un paziente con una malattia neoplastica non è affidata al singolo specialista, ma ad un gruppo di professionisti che devono lavorare in equipe. I pazienti devono sapere che può essere opportuno intraprendere un percorso di cure preventivo. Parliamo dei cosiddetti trattamenti neoadiuvanti, chemioterapico, radioterapico e combinato. Perché è la conoscenza fisiopatologica della biologia della malattia neoplastica che ci induce a sfruttare al meglio tutte le armi che abbiamo a disposizione. Io dico sempre ai pazienti con malattie neoplastiche complesse che si rivolgono a me, che è un po' come quando devi iniziare a giocare una partita a scacchi, dove una cosa fondamentale è sicuramente non sbagliare le prime mosse. Se uno fa l'apertura giusta, la possibilità di riuscire a fare scacco matto alla fine della partita aumenta in modo considerevole. Le ombre sono legate, non tanto all'aspetto tecnico chirurgico, ma pensando al malato nella sua interezza. A volte può essere non opportuno sottoporre il paziente a trattamenti troppo complessi e aggressivi, quando poi, alla fine, questo non ci dà un reale vantaggio sulla sopravvivenza del paziente. Molto spesso capita che si diffonda la convinzione che tutte le malattie si possano curare a prescindere da tuto. Purtroppo non è così e noi, nonostante tutto il nostro impegno e la nostra scienza, dobbiamo far passare il concetto che a volte bisogna arrendersi. È necessario avere la capacità e la sensibilità di far metabolizzare ed accettare questa realtà alle persone, perché in certe situazioni è giusto saper fare un passo indietro e accettare che nella vita non sempre si può vincere sulla malattia.
Quali sono prospettive della chirurgia oncologica?
Sono quelle di cercare di effettuare degli interventi chirurgici sempre più mirati, cercando di (paragonando la chirurgia ad uno scenario di guerra) riuscire a concentrarsi su uno specifico obiettivo, provando a risparmiare per quanto possibile tutto ciò che sta attorno. Un concetto che si è fatto strada, ormai da diversi anni, con la chirurgia della mammella, che ha dato il via e aperto la strada a questo tipo di impostazione. Quando ho iniziato vedevo tanti pazienti che andavano incontro a interventi devastanti e demolitivi. Adesso, nel corso degli anni, si è arrivati a trattamenti sempre più conservativi dell'organo e dell'estetica. Questo metodo stiamo cercando di estenderlo ad altri tumori.
Partiamo dalla situazione odierna e guardiamo al futuro. A che punto siamo arrivati oggi in una sala operatoria? La chirurgia come si sta evolvendo?
Le novità principali dal punto di vista tecnologico in campo chirurgico, negli ultimi anni, sono state le tecniche 'mininvasive', che consentono di eseguire molti degli interventi chirurgici classici con un approccio che sia meno aggressivo per il paziente. La minore aggressività non si riferisce solamente all'aspetto meramente estetico, ma sicuramente all'impatto del trauma operatorio sull'organismo. La possibilità di potere effettuare degli interventi a cosi detto a 'cielo chiuso', mi riferisco alle tecniche di tipo laparoscopico (con una minima manipolazione dei visceri e degli organi) hanno una serie di vantaggi non indifferenti per la ripresa postoperatoria del paziente. C'è un notevole sviluppo negli ultimi anni di queste tecnologie mininvasive la cui espressione più elevata è data dalla cosiddetta chirurgia robotica, che consente di poter effettuare interventi con una precisione e accuratezza veramente elevata.
La fase post-operatoria lascia ancora conseguenze sul fisico del paziente. Le sofferenze dopo un intervento potranno diminuire?
Sarebbe bello poter pensare di operare i pazienti senza conseguenze fisiche, ma purtroppo credo sia ancora difficile. Però ci possono supportare i colleghi anestesisti che hanno anche loro nuovi approcci e nuovi farmaci che possono aiutare a limitare le sofferenze postoperatorie.
Soffermiamoci sull'importanza della squadra per dirigere un'equipe di vera eccellenza chirurgica, come deve essere il chirurgo eccellente oggi e cosa o chi le serve per raggiungere risultati eccellenti?
Il segreto è nel team di colleghi e collaboratori con cui ti trovi a svolgere il tuo lavoro. Per raggiungere risultati eccellenti bisogna essere uniti dallo stesso entusiasmo e dalla stessa voglia di mettersi in gioco ogni giorno. Una "vera" squadra che vuole vincere insieme tutte le sue partite di campionato. Rientrando al Civico ho trovato alcuni colleghi con notevole esperienza di chirurgia oncologica, alcuni dei quali avevo già lavorato. Sarebbe bello implementare questa squadra con degli innesti di persone più giovani. Non per sfiducia nei miei collaboratori attuali, ma perché i giovani possano dare quella spinta innovativa maggiore e quelle nuove idee, importanti anche da un punto di vista dell'organizzazione. Le principali cose che un insegnante apprende sono quelle che arrivano dai suoi alunni. La freschezza e sfrontatezza del giovane crea nuovo entusiasmo a tutto l'ambiente. Sono i giovani le risorse su cui di fatto un buon maestro deve voler investire professionalmente, perché saranno loro, che dovranno portare avanti in futuro questo lavoro, a prescindere da me.
Se avesse la possibilità di ricominciare da capo, cosa cambierebbe?
Forse cambierei me stesso, vorrei essere un po' più rigido. In tutta la mia storia professionale ho sempre cercato di adattarmi prevalentemente io all'ambiente e alle situazioni in cui mi sono calato, il che è un bene e ti può dare dei vantaggi. Ma se fossi stato un po' più rigido e avessi preteso di più in alcune situazioni lavorative avrei ottenuto di più, evitando di utilizzare una enorme quantità di energie psicologiche, che possono essere focalizzate per offrire il meglio al pazienti.
Ringraziamenti da fare?
Sicuramente a mia moglie e ai miei figli. La passione per il mio lavoro ha ridotto sensibilmente la mia presenza nell'ambito familiare. Spesso si ritrovano accanto un marito e un papà che, anche quando è a casa, ha la mente continuamente rivolta ai suoi pazienti e a tutte quelle che sono le problematiche lavorative. Devo riconoscere che non avrei potuto fare questo percorso senza la loro comprensione, il loro amore, la loro stima ed il loro supporto.