"Asp via Giorgio Arcoleo, l'invalidità guardata dall'alto in basso"
Giovedì 3 agosto mi reco, per una visita finalizzata alla concessione del pass invalidi per l’automobile, presso il distretto dell’Asp sito in via Giorgio Arcoleo, 25 – Palermo. Desidero riassumervi, da dove parte questa mia richiesta:
Fino all’ anno 2003 ero una giovane ragazza di sana e robusta costituzione che, qualche anno prima, aveva deciso di arruolarsi come prima donna soldato nell’esercito italiano. Purtroppo per me, mentre ero di servizio, sono stata vittima di un gravissimo incidente e per la precisione mi è rovinato addosso un cancello di ferro (porta carraia) di circa 1.600 kg. Da quel giorno tutto è cambiato. Sono rimasta allettata per interi mesi, poi su una sedia a rotelle e infinite ho passato troppo tempo a deambulare con le stampelle. C è voluta molta forza di volontà e determinazione, mi sono spremuta con la riabilitazione ed ho versato lacrime amare, ma alla fine ho abbandonato pure loro e seppur con qualche impedimento, finalmente riesco a camminare da sola.
Premesso che giorno 3 agosto arrivo presso la struttura circa un ora prima dell’orario di apertura pomeridiano e che, anche se in largo anticipo, resto ad aspettare seduta su una panchina, piazzata nel corridoio di fronte l’ufficio di una dottoressa. Durante quell'ora di attesa vedo uscire la dottoressa e da persona educata saluto con un “buongiorno”, ma non ricevo risposta. La stessa, probabilmente infastidita da quella signora (io) che si trovava nel SUO corridoio, davanti la SUA stanza, in attesa della SUA visita, non fa altro che entrare ed uscire da quell' ufficio sbattendo ripetutamente ed in modo violento le porte e lamentandosi con il povero portiere di tenere chiuso l’ingresso al fine di evitare che altre persone potessero entrare.
Erano le 15:30 quando entro nella stanza 52 che, una volta compilato il modulo di accettazione, mi manda nell’ufficio di fronte per una valutazione da parte del medico competente, quel medico era la dott.ssa A. C. Non appena entrata, camminando sulle mie gambe, non ho fatto in tempo ad accomodarmi che la dottoressa si rivolge a me, con testuali parole: “COSA VA CERCANDO LEI? LEI DEAMBULA.. PER FAVORE HO ALTRE PERSONE DA VISITARE, MI FACCIA IL PIACERE DI ACCOMODARSI (fuori) E RINGRAZI DIO CHE STA BENE...”
In effetti, sono invalida per servizio iscritta alla TAB A cat. V per per “esiti limitanti di frattura della branca ischio pubica DX e SX (esidi in pseudoartrosi) – esiti di frattura ala sacrale SX e frattura scomposta sacro coccigea con lesione del plesso sacrale con persistenti segni clinici di lonbo sciatalgia cronica SX – accorciamento arto inferiore SX con zoppia, risalita dell’emilato sacrale – semiparesi al piede SX con denervazione a causa della lesione L5 S1 e ancora altro, ma con molta probabilità per la dott.ssa C. non sono sembrata un caso meritevole di approfondimento, visto che non si è degnata di leggere nemmeno un certificato tra tutta la documentazione che avevo a seguito. Sono stata sottoposta ad un infinità di visite ed ho conosciuto altrettanti medici, ma mai nessuno si era permesso di discriminarmi così, di sottovalutare il mio problema o di cacciarmi da un ufficio.
Lavoro anche io in ospedale come “Categoria Protetta” e posso dire che un medico, prima del camice, dovrebbe indossare un pò sensibilità e di umanità. Io non so se la mia richiesta per il PASS poteva essere accolta, ma sicuramente il mio caso doveva essere esaminato. Tutti abbiamo il diritto di essere considerati maggiormente “chi come me” nella vita ha già subito delle ingiustizie, e nessun CAMICE BIANCO non può permettersi, solo perché seduta su una sedia, dietro una scrivania, con uno stipendio che paghiamo noi, di poter trattare la povera gente in quel modo.