Un'escavatrice in un cantiere bloccato, la scultura ai Quattro Canti: cosa significa e perché è lì
L'opera di Arcangelo Sassolino realizzata per conto della Fondazione Falcone si presenta come una bestia primitiva che incide il cemento, lo spacca e distrugge lo stesso piedistallo su cui poggia. I tre bracci, svincolati l'uno dall'altro, creano forme diverse nello spazio
Una simbolica scultura a forma di escavatrice, bianca e senza testa, che si muove su se stessa attraverso movimenti lenti e apparentemente incontrollati. Si chiama Elisa ed è l'opera monumentale di grande potenza allestita a piazza Villena ai Quattro Canti in occasione del trentesimo anniversario delle stragi di Capaci e Via D'Amelio. A realizzarla l'artista Arcangelo Sassolino su invito della Fondazione Falcone.
L'inaugurazione e il "caso" del crollo
L’escavatrice si trovava in un cantiere, completamente bruciata, bloccata per questioni di appalti e dalla madre macchina. Arcangelo Sassolino ha dato nuova vita al braccio meccanico donandole un cuore (artificiale) attraverso un sistema idraulico. La scultura si presenta come una bestia primitiva che incide il cemento, lo spacca e distrugge lo stesso piedistallo su cui poggia. I tre bracci, svincolati l’uno dall’altro, creano forme diverse nello spazio.
L’arte offre spunti di riflessione e pone interrogativi: l’opera di Arcangelo Sassolino evoca i tanti saccheggi architettonici e urbanistici che la mafia ha compiuto in tutta Italia, in particolare a Palermo e in Sicilia. Nel salotto della più fragile grande bellezza dell’architettura storica della città di Palermo la brutalità del cemento, seppur temporaneo, e l’ottusità della macchina demolitrice, che mangia tutto, anche il suo stesso altare di presunzione.
Un'opera accusatoria verso quella palude culturale che fa urlare contro l’arte contemporanea nei luoghi storici e premia gli indifferenti, ai moderati che negli anni hanno taciuto sull’abusivismo speculativo di Cosa nostra e del Sacco di Palermo. La bestia bianca, come un sepolcro, come un demonio di ferraglia, è una provocazione passeggera, come un improvviso riflesso sconcertante nello specchio di un’inattesa vetrina che ci rivela come davvero siamo, ipocriti e fragili.