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Orlando racconta il suo dramma: "Le mie figlie fuggite da Palermo"

Il primo cittadino si confessa in un'intervista concessa al Corriere. E affronta il capitolo giovani, in fuga all'estero, sempre più difficili da trattenere. "Io sindaco per la quinta volta, ho il gusto della follia..."

Ha accettato perché ama la follia, ma sulla sua pelle sono visibili le ferite del distacco, difficili da cicatrizzare. Perché il sindaco Leoluca Orlando sa soffrire. Ha visto fuggire figlie e nipoti, perché da Palermo i giovani scappano e trattenerli è praticamente impossibile. Il primo cittadino si confessa in un'intervista al Corriere. "Per decidere di tornare a essere sindaco di Palermo per la quarta volta ci vuole il gusto della follia. Veniamo da 10 anni di barbarie. Non faccio riferimento solo ai falsi in bilancio, alle ruberie alle clientele, ma parlo dell'imbarbarimento complessivo della vita. Alla città che bisogna ricostruire. Ma tornando sindaco ho scoperto che non c'è una "comunità palermitana".

Il sindaco poi torna indietro di un anno e mezzo. E fa un primo bilancio della sua nuova esperienza sulla poltrona più importante di Palazzo delle Aquile: "Io ho la sensazione di essere una minoranza culturale che ha ottenuto una maggioranza elettorale. La realtà è che io sono stato in certo momento della città, nel 2012, l'unico punto di contatto tra il massimo di disperazione dopo 10 anni di malgoverno e una speranza possibile. Ho ottenuto quasi il 74% dei consensi. E' la quinta volta che torno a fare il sindaco e la mia potente coalizione, quella che mi sosteneva, ha preso il 14%..."

Poi è il momento delle spine. Il distacco dalla famiglia. Lui, inossidabile a Palermo, da profeta in patria. Gli affetti invece volati via verso altri lidi. "Io vivo una condizione che da un certo punto di vista è un peso da una parte, e un po' uno stimolo, ben cinque ragazzi della mia famiglia sono fuggiti all'estero. Fuggiti, non andati via, perché hanno rifiutato la cultura dell'appartenenza. Se qualcuno si permette dire che ho preso la tangente, dico no. Se qualcuno si permette di dire che io ho raccomandato una figlia, un genero o un nipote dico tre volte no. Lo dico perché il male del nostro Paese è diventata quella drammatica domanda: 'A chi appartieni?'. Però posso dire che negli ultimi 20 anni il vizio siciliano dell'appartenenza è diventato cultura nazionale".

Amarezze da padre e da nonno. Orlando conclude: "La cosa drammatica è non avere argomenti per potere fermare i nostri ragazzi. Quando mia figlia una volta mi ha detto, che con marito e figli andava a vivere per sempre a Quebec City, io padre siciliano, autoritario, conservatore, ho chiesto: 'Per sempre a Quebec City?'. L'unica domanda che ho avuto il coraggio di fare è stata: 'Ma andate da Toronto o da Montreal?'. Io invece sono rimasto qui. E vorrei che un giorno tutti i ragazzi palermitani andassero all'estero, ma per scelta. E potranno decidere di tornare in qualsiasi momento"

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