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La Mantia: "Chi avrà ancora piacere ad andare al ristorante tra file, guanti e barriere?"

Lo chef - che all'orizzonte ha anche un progetto per l'Hotel delle Palme nella sua Palermo - sbotta: "Va bene la tutela della salute, va bene l'aiuto finanziario o fiscale, ma come la mettiamo con la psicologia del cliente?"

"Noi programmiamo la nostra attività, per tutte le ore della giornata perché a pranzo è diverso che a cena; per i diversi giorni della settimana, perché un lunedì o un giovedì non sono il sabato e la domenica; per i mesi successivi e talora persino per l'anno seguente: e chi programma, ha bisogno di certezze, non può vivere alla giornata!". E' quanto lamenta all'AdnKronos lo chef palermitano Filippo La Mantia, un ristorante con una media fra i cento e i duecento coperti a Milano, un progetto per l'Hotel delle Palme nella sua Palermo e in prospettiva a Venezia, aderendo alla protesta dei ristoratori contro le "mancate risposte" dal Governo sulla Fase 2, quella che dovrebbe segnare una parziale ripresa dopo la fase più acuta dell'emergenza per la pandemia del coronavirus, "che è peggio di un terremoto, dal nostro punto di vista", assicura.

"In linea generale, non mi aspetto mai nulla e non pretendo nulla dagli altri, tanto meno dallo Stato o dal Governo - premette La Mantia - Ma qui è il mondo che si è bloccato e non si può ripartire senza l'aiuto tangibile delle autorità. Noi rappresentiamo per le persone momenti di distrazione, di gioia, di piacere, di convivialità, talora anche di necessità: è ovvio che la tutela della salute deve essere la prima cosa, a costo di ritardare l'apertura che per noi ristoratori è una sorta di ghigliottina". Ma, afferma, "quello che chiediamo è che almeno si abbatta la burocrazia, che nel nostro Paese è mostruosa. Sono già tre mesi che siamo chiusi, se riapriamo non possiamo perdere altro tempo prezioso anche per i mille passaggi delle pastoie burocratiche e amministrative e per la mole di documenti richiesti: qui non basta neanche essere limpidi e trasparenti come l'acqua della fonte".

"Certezze", rivendica La Mantia, anche sul prosieguo dell'apertura. "Se a Milano io riapro e dopo una settimana o un mese risale la curva dei contagi e si decide che a Milano i ristoranti devono richiudere, io che faccio? Con la merce ordinata, il personale pagato, le bollette da pagare, le ordinazioni e le prenotazioni prese e coperte economicamente? Non chiedo soldi 'gratis' ma gli aiuti legittimi per non interrompere una attività che non potrebbe continuare a singhiozzo, con ripercussioni poi sulla intera filiera del settore agroalimentare". Per lo chef, "servono finanziamenti a fondo perduto garantiti dal Governo, se si vuole davvero tornare a lavorare seriamente. E anche con tutti i controlli, i più severi, da parte delle autorità, perché gli aiuti dello Stato devono andare a buon fine e per la finalità richiesta e certificata: chi sbaglia paga, chi imbroglia paga e deve pagare anche caro!". Poi, quanto alle misure, "io non ho alcun problema a rispettarle e a farle rispettare - assicura La Mantia - Ma il problema è un altro: a parte l'assenza o la scarsità di turismo, anche i clienti della stessa città, del quartiere, di un paesino vicino, avranno ancora il piacere di venire in un ristorante, sedersi, conversare, gustare i cibi, in una atmosfera fatta di file davanti al locale, mascherine, guanti, barriere, divisori in plexiglass, distanziamenti sociali, numeri contingentati? Questa, al di là di tutto, è la vera incognita! Va bene la tutela della salute, va bene l'aiuto finanziario o fiscale, ma come la mettiamo con la psicologia del cliente?".

Fonte: Adnkronos

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