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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Abusi in sala parto, una ragazza palermitana: "Ricucita con un dolore assurdo"

Un milione di mamme in Italia vittime di "violenza ostetrica". Tagli vaginali senza preavviso, maltrattamenti fisici e verbali. Cosa c'è dietro un fenomeno che coinvolge una mamma su cinque. L'esperienza di una giovane palermitana

Circa un milione di madri in Italia – il 21% del totale – affermano di essere state vittime di una qualche forma, fisica o psicologica, di violenza ostetrica alla loro prima esperienza di maternità. Un’esperienza così traumatica che avrebbe spinto il 6% delle donne, negli ultimi 14 anni, a scegliere di non affrontare una seconda gravidanza, provocando di fatto la mancata nascita di circa 20mila bambini ogni anno nel nostro Paese. Sono alcuni dei dati emersi dall’indagine nazionale ‘Le donne e il parto’, la prima in Italia realizzata per indagare il fenomeno, sommerso e ancora poco conosciuto, della cosiddetta ‘violenza ostetrica’, cioè l’appropriazione dei processi riproduttivi della donna da parte del personale medico. La ricerca, nata su iniziativa dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia, è stata condotta dalla Doxa e finanziata dalle associazioni La Goccia Magica e CiaoLapo Onlus.

Tra le storie più drammatiche venute a galla c'è quella di una palermitana, Teresa, "ricucita con un dolore assurdo". La sua vicenda è stata raccontata oggi da La Stampa. Teresa, 27 anni, racconta invece di aver subito un episiotomia senza esserne informata e di esser stata ricucita "a crudo", cioè senza anestesia. "Non dimenticherò mai quel dolore assurdo e, anche se sono passati 6 mesi da allora, ancora faccio fatica a riprendermi", dice.  

Con l’indagine Doxa ‘Le donne e il parto’, condotta su un campione rappresentativo di circa 5 milioni di donne italiane, di età compresa tra i 18 e i 54 anni, con almeno un figlio di 0-14 anni, sono stati analizzati i diversi aspetti e momenti vissuti dalle madri durante le fasi del travaglio e del parto: dal rapporto con gli operatori sanitari alla tipologia di trattamenti praticati, dalla comunicazione usata dallo staff medico al consenso informato, dal ruolo della partoriente nelle decisioni sul parto al rispetto della dignità personale.

L’indagine ha rilevato che per 4 donne su 10 (41%) l’assistenza al parto è stata per certi aspetti lesiva della propria dignità e integrità psicofisica. In particolare, la principale esperienza negativa vissuta durante la fase del parto è la pratica dell’episiotomia (l’incisione vulvo-vaginale per facilitare il parto), subita da oltre la metà (54%) delle mamme intervistate.

Un tempo considerata un aiuto alla donna per agevolare l’espulsione del bambino, oggi l’Organizzazione Mondiale della Sanità la definisce una pratica ‘dannosa, tranne in rari casi’.

L’episiotomia è, a tutti gli effetti, un intervento chirurgico che consiste nel taglio della vagina e del perineo per allargare il canale del parto nella fase espulsiva. Rispetto alle lacerazioni naturali che spesso si verificano durante il parto, tale operazione necessita di tempi più lunghi per il recupero con rischi anche di infezioni ed emorragie.

Episotomia senza consenso informato per 1,6 milioni di partorienti in Italia

 Ad aggravare la situazione il fatto che, in Italia, 3 partorienti su 10 negli ultimi 14 anni, vale a dire 1,6 milioni di donne (il 61% di quelle che hanno subito un’episiotomia) dichiarano di non aver dato il consenso informato per autorizzare l’intervento. Inoltre, stando ai dati dell’indagine, la pratica dell’episiotomia non sembra essere sparita dalle realtà ospedaliere italiane: una donna su 2 ha subito l’episiotomia (54%).

Per il 15% delle donne che hanno vissuto questa pratica, pari a circa 400mila madri, si è trattato di una menomazione degli organi genitali, mentre il 13% delle mamme, pari a circa 350mila, con l’episiotomia ha visto tradita la loro fiducia nel personale ospedaliero: se all’inizio la ritenevano una procedura necessaria e innocua, solo in seguito hanno preso conoscenza delle conseguenze negative. A registrare il numero più alto di episiotomie sono le regioni del Sud Italia e le isole con il 58%, seguite dal centro e Nord-Est Italia (55% pari merito), ultimo il Nord Ovest con 49%.

Valutando la qualità complessiva della cura, a fronte di un 67% del campione che dichiara di aver ricevuto un’assistenza adeguata da parte di medici e operatori sanitari, 1.350.000 donne (il 27% delle intervistate) dichiarano di essersi sentite seguite solo in parte dall’equipe medica, precisando che avrebbero voluto essere più partecipi su quanto stava avvenendo durante il parto. Questo dato viene ulteriormente confermato dal 6% di neomamme che afferma di aver vissuto l’intero parto in solitudine e senza la dovuta assistenza. Insomma, 1 donna su 3 si è sentita in qualche modo tagliata fuori dalle decisioni e scelte fondamentali che hanno riguardato il suo parto.

Violenza ostetrica: quando il parto si trasforma in un trauma

 Alle mamme intervistate è stata posta la seguente domanda ‘La definizione di violenza ostetrica è la seguente: appropriazione dei processi riproduttivi della donna da parte del personale medico, costringere la donna a subire un cesareo non necessario, costringere la donna a subire una episiotomia non necessaria, costringere la donna a partorire sdraiata con le gambe sulle staffe, esporre la donna nuda di fronte ad una molteplicità di soggetti, separare la madre dal bambino senza una ragione medica, non coinvolgere la donna nei processi decisionali che riguardano il proprio corpo e il proprio parto, umiliare verbalmente la donna prima, durante e dopo il parto. Sulla base di queste informazioni, Lei ritiene di avere vissuto l’esperienza di violenza ostetrica durante l’assistenza al suo parto?’. Sebbene il 56% risponda ‘assolutamente no’ e il 23% ‘credo di no’, emerge un 21% del totale che ritiene di aver subito una qualche forma di violenza ostetrica fisica o verbale alla loro prima esperienza di maternità. Di questo 21% il 17% delle donne risponde alla domanda con ‘in parte sì’, ma il 4% fornisce una risposta più netta ‘sicuramente sì’.

"Di fronte a questa fotografia oggettiva del fenomeno" – ha dichiarato Alessandra Battisti, cofondatrice dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia – "auspichiamo una collaborazione con medici e istituzioni volta ad includere le donne nei processi decisionali, anche politici, che portino ad un cambiamento reale dell’assistenza nella direzione del rispetto e dalla dignità della persona umana. Come afferma l’OMS e l’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (UNHCHR), l’abuso, la negligenza o la mancanza di rispetto durante il parto possono condurre alla violazione dei fondamentali diritti umani della donna e del bambino, mettendo a rischio la loro vita e la loro sicurezza. La campagna a cui abbiamo dato vita è rivolta prima di tutto alle donne invitandole a rivendicare i propri diritti e a non subire alcuna forma di maltrattamento, inclusa la violenza nel parto. Abbiamo voluto anche sostenere il percorso della proposta di legge Zaccagnini che vuole far riconoscere la violenza ostetrica come reato, dato che senza un riconoscimento giuridico per le donne diventa difficile poter denunciare".

Parto cesareo, una pratica di routine e non sempre di emergenza 

Secondo la ricerca Doxa-OVOItalia in Italia il 32% delle partorienti ricorre al parto cesareo. Di queste, il 15% racconta che si è trattato di un cesareo d’urgenza. Nel 14% dei casi, rivela l’indagine, si è trattato di un cesareo programmato su indicazione del medico, mentre solamente il 3% di donne ne ha fatto esplicita richiesta.

Quel 4 % di casi in cui la trascuratezza ha messo in pericolo la vita del neonato e della madre 

Secondo l’indagine, l’84% del campione partorisce il primo/unico figlio all’interno di un ospedale pubblico. Il 12% ha scelto una struttura ospedaliera privata ma convenzionata con il Sistema Sanitario Nazionale, il 3% ha optato per cliniche private non accreditate e 1% in casa o casa del parto.

Le inappropriatezze denunciate attraverso la ricerca sono molteplici. Il 27% delle madri lamenta una carenza di sostegno e di informazioni sull’avvio dell’allattamento e il 19% la mancanza di riservatezza in varie fasi e momenti della loro permanenza nell’ospedale. Inoltre, il 12% delle donne afferma che gli è stata negata la possibilità di avere vicino una persona di fiducia durante il travaglio; al 13% non è stata concessa un’adeguata terapia per il dolore.

Infine, non può non destare allarme, in relazione alla sicurezza e al rischio nel parto, il 4% (circa 14.000 donne all’anno) che afferma di avere vissuto una trascuratezza nell’assistenza con insorgenza di complicazioni ed esposizione a pericolo di vita.

L’Istituto Superiore della Sanità stima che in Italia, ogni anno, ci siano oltre 1259 casi di ‘near miss’ ostetrici documentati, mentre le morti materne sono sottostimate del 60%. Un insieme di fattori per cui, sebbene il 72% delle mamme si affiderebbe nuovamente alla stessa struttura, il 14% cercherebbe sicuramente un’opzione differente in caso di una seconda gravidanza, mentre un altro 14% rimane indeciso.

Primo parto: un trauma indotto che spinge il 6% di madri italiane a non volere altri figli 

Sebbene per una parte del campione l’esperienza del primo parto non ha influenzato la scelta di avere altri figli (63%) o non è stato il fattore che ha spinto la donna a decidere di non avere altri figli (15%), l’11% delle madri in Italia ammette di aver subito un trauma dovuto all’assistenza nell’ospedale e di conseguenza ha preferito rimandare di molti anni la scelta di vivere un’ulteriore gravidanza, con conseguenze significative sulla fertilità al livello nazionale.

Per il 6% del totale il trauma è stato così forte da decidere di non avere più altri figli, stimando a 20.000 all’anno i bambini non nati. Una conseguenza sulla natalità di cui fino ad oggi non era emersa alcuna correlazione.

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