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Cronaca

Valeria uccisa al Policlinico da una chemio sbagliata, dopo oltre 10 anni condanne definitive

La Cassazione ha rigettato i ricorsi dei tre medici imputati e confermato l'assoluzione di un'infermiera. Alla donna di 34 anni, che era diventata madre da 8 mesi, a dicembre del 2011 vennero somministrati 90 milligrammi di vinblastina al posto di 9 per un errore nella cartella clinica. A mezzanotte sarebbe scattata la prescrizione

Sono serviti sei gradi di giudizio e oltre 10 anni per chiudere (quasi) definitivamente il caso di Valeria Lembo, la mamma uccisa il giorno dopo il suo compleanno, il 29 dicembre del 2011, da un madornale errore medico: i medici del Policlinico, infatti, per uno zero in più aggiunto nella sua cartella clinica, le somministrarono una dose di 90 milligrammi di vinblastina (un farmaco chemioterapico) al posto di 9. La donna di 34 anni, madre da appena otto mesi in quel momento, morì tra dolori atroci per una avvelenamento senza precedenti nella letteratura scientifica. Stasera la terza sezione della Cassazione ha deciso di rigettare i ricorsi degli imputati. Mancava un giorno per far scattare la prescrizione.

L'ex primario del reparto di Oncologia del Policlinico, Sergio Palmeri, è stato così condannato a 3 anni, l'oncologa Laura Di Noto a 2 anni e 3 mesi (per lei però i giudici hanno deciso di annullare con rinvio soltanto l'aspetto legato alle pene accessorie) e l'allora specializzando Alberto Bongiovanni a 3 anni e 5 mesi. Unica assolta è l'infermiera Clotilde Guarnaccia, difesa con tenacia dall'avvocato Salvino Pantuso (nella foto).

avvocato-salvino-pantuso-2Valeria Lembo, a dicembre del 2011, era stata sottoposta ad un ciclo di chemioterapia al Policlinico, dopo che le era stato diagnosticato un linfoma di Hodgkin, di cui sarebbe guarita senza alcun problema. Invece, per una catena di errori impressionanti, quella che avrebbe dovuto essere la sua cura si rivelò un veleno letale.

La giovane mamma, già nel pomeriggio dopo la chemio si era sentita male e venne infatti ricoverata al Buccheri La Ferla. Dal Policlinico - dove si sarebbero subito accorti dell'errore, senza tuttavia dirlo né alla paziente né alla sua famiglia - arrivò una chiamata per avere notizie delle condizioni di salute della donna, che poi fu trasportata proprio al Policlinico. I genitori della vittima raccontarono che in quella prima fase i medici avrebbero comunicato loro che la figlia aveva un'indigestione: avrebbero cercato di guadagnare tempo mentre cercavano un potenziale - ed inesitente - antidoto all'avvelenamento da viblastina.

Dopo il decesso e la denuncia dei parenti, la Procura aprì un'inchiesta, che venne coordinata dai pm Francesco Grassi ed Emanuele Ravaglioli. Le indagini furono chiuse in tempi molto veloci, già ad agosto del 2012. Nella loro requisitoria non esitarono a parlare di "errori marchiani e grossolani", in una situazione "surreale e beffarda", addirittura "vergognosa". Il 24 settembre del 2013 il gup Daniela Cardamone dispose il rinvio a giudizio per gli imputati. Tra loro c'erano anche Gioacchino Mancuso (allora studente di Medicina, che fu l'unico assolto in primo grado e che uscì definitivamente dal processo) e un'altra infermiera, Elena Demma.

Quel giorno in cui furono iniettati i 90 milligrammi di vinblastina, Palmeri non era fisicamente presente nel reparto. Sfogliò tuttavia la cartella di Valeria Lembo, senza accorgersi però dell'errore nel dosaggio del farmaco e di quello zero di troppo. Le uniche ad avere dei sospetti furono proprio le infermiere: prima perché non c'era la disponibilità in farmaci di tutta quella vinblastina e poi perché non sapevano come somministrarla in quella quantità alla paziente. Guarnaccia chiamò per ben due volte Di Noto, considerata braccio destro del primario. Due momenti in cui la terribile successione degli eventi avrebbe potuto essere fermata.

Di Noto dichiarò durante il processo di primo grado: "Quando mi hanno chiamato dalla farmacia dell'ospedale per dirmi che avevano solo 70 milligrammi di vinblastina, sono andata a controllare la cartella clinica, facendo attenzione, come da prassi, sia alla prescrizione del 7 dicembre 2011 che a quella precedente: erano uguali, sempre 90 milligrammi. Così dissi che era giusto, non mi vennero dubbi". Bongiovanni aveva poi ammesso di essere stato lui, dopo la morte di Valeria Lembo, a cancellare dalla sua cartella clinica quello zero in più accanto al 9 e spiegò: "Sapevo che quella dose era impossibile da iniettare a bolo lento e che in tutta la cartella c'era indicato 9 milligrammi. Lo dico perché sono farmaci che si somministrano in una sola dose". Per somministrare tutta quella quantità di farmaco, infatti, le infermiere dovettero ricorrere ad un metodo inconsueto. Palmeri disse in sintesi che era molto dispiaciuto ed espresse tutto il suo dolore alla famiglia di Valeria "ma non mi sento responsabile".

La sentenza di primo grado arrivò il 14 settembre del 2015 e il verdetto emesso dall'allora giudice del tribunale monocratico, Claudia Rosini, fu durissimo, con pene più alte di quelle invocate dalla stessa Procura: Palmeri fu condannato a 4 anni e mezzo, Di Noto a 7 anni, Bongiovanni a 6 anni e mezzo, le infermiere a 4 anni ciascuna. Nelle motivazioni della sentenza il giudice parlò della morte di Valeria Lembo come di "un assassinio, la più grave colpa medica commessa al mondo".

Al termine del primo processo d'appello, il 12 dicembre del 2017, venne confermata la condanna di Palmeri, mentre quelle degli altri imputati vennero ridotte a 4 anni e 4 mesi per Di Noto, a 2 anni e 2 mesi per Guarnaccia e a 4 anni e 8 mesi per Bongiovanni. Demma decise invece di concordare la condanna a 2 anni e mezzo con il pg e uscì anche lei per sempre dal processo.

La drammatica storia di Valeria Lembo approdò così una prima volta davanti alla Cassazione e, il 7 marzo del 2019 - a sorpresa - i giudici decisero di annullare con rinvio la sentenza. Si era dovuto quindi celebrare un nuovo processo d'appello, alla fine del quale gli imputati avevano ottenuto ulteriori sconti di pena, mentre il verdetto era stato del tutto ribaltato per Guarnaccia, che era stata assolta. Stasera il cerchio si è finalmente chiuso. Ed è un giorno che la famiglia di Valeria Lembo, ovvero la madre, Rosa Maria D'Amico, il padre, Carmelo Lembo, il marito Tiziano Fiordilino e la zia Anna Maria D'Amico hanno atteso per anni. Venendo alle udienze, soffocando la rabbia ed il dolore di fronte al rimpallo di responsabilità tra gli imputati, ma anche ai rinvii e alle riduzioni di pena. Sempre con dignità hanno ribadito: "Non vogliamo pietà, ma giustizia".

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