rotate-mobile
Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Si finge carabiniere, corteggia una donna sui social e le spilla 30 mila euro: condannato

Francesco Mancuso, 61 anni, sospeso dall'Arma dal 1999 e con numerosi precedenti penali, avrebbe ordito una truffa sentimentale: con modi garbati e approfittando dei sentimenti della vittima, si sarebbe spacciato persino come ex caposcorta del presidente della Camera Nilde Iotti e avrebbe chiesto somme tra i 300 e i mille euro

Gentile, garbato, premuroso e - cosa che non guasta - anche piuttosto attraente, peraltro con un bel lavoro, ovvero carabiniere e caposcorta di un importante magistrato. Queste però sarebbero state le apparenze e le chiacchiere perché in realtà quell'uomo così perfetto, conosciuto su Facebook e di cui lei aveva finito per innamorarsi perdutamente, sarebbe semplicemente un truffatore che in un paio d'anni, inventando bugie su bugie e approfittando dei suoi sentimenti e della sua generosità, sarebbe riuscito a spillarle quasi 30 mila euro, con le scuse più disparate, fino a ridurla sul lastrico, nonostante la donna sia una dipendente pubblica. Adesso il giudice monocratico del tribunale di Termini Imerese, Giuseppina Turrisi, ha deciso di condannare l'uomo, Francesco Mancuso, 61 anni, palermitano e residente a Trabia, con una lunghissima lista di precedenti penali, a un anno e mezzo.

La vittima della truffa sentimentale, un tipo di imbroglio sempre più diffuso, si era accorta troppo tardi della trappola tesagli dall'imputato, che era sparito nel nulla quando aveva capito che la donna non aveva più un euro da dargli. Ma lo aveva poi denunciato e ora, con l'assistenza dell'avvocato Saverio Benigno (nella foto), si è costituita parte civile nel processo e il giudice le ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno patito (da quantificare in sede civile) e una provvisionale di 3.400 euro.
Proprio la donna dopo la sua triste esperienza ha voluto che la sua vicenda diventasse pubblica per mettere in guardia altre persone.

saverio-benigno-avvocato-2La favola che poi sarebbe diventata poi un incubo inizia in modo quasi banale, cioè con un contatto nella chat di Facebook, a febbraio del 2011. La vittima, coetanea dell'imputato, in quel momento è separata, ha due figli ormai grandi che studiano fuori e vive con il suo gatto. Si lascia rapidamente conquistare dalla gentilezza e dai modi garbati e attenti di Francesco Mancuso, che le avrebbe raccontato di essere un dipendente del ministero dell'Interno e caposcorta di un importante magistrato, di vivere a Roma, ma di veire spesso a Palermo proprio per esigenze di servizio. Dalle chiacchierate in chat, dopo poco tempo, i due si scambiano i numeri di telefono ed iniziano a sentirsi regolamente finché, ad aprile del 2011, decidono di incontrarsi per la prima volta.

L'appuntamento viene fissato al bar Sanremo, quello di fronte al palazzo di giustizia, dove Mancuso dice di trovarsi per lavoro. Un incontro che porterà poi ad una relazione sentimentale, in cui però a dettare le regole, a stabilire le modalità e i luoghi in cui vedersi sarebbe stato sempre l'imputato, anche perché tutto dipende dal suo lavoro e dalle sue trasferte.

Improvvisamente, però, alla fine di maggio, Mancuso sarebbe sparito: non avrebbe più risposto al telefono e sui social, sarebbe diventato introvabile. La donna sa che l'uomo ha un figlio e decide di scrivergli su Facebook per avere notizie dell'uomo di cui si è ormai innamorata. A questo punto si verifica il primo (assurdo) colpo di scena: la vittima scopre che Mancuso è finito in carcere per scontare una pena definitiva, che è recluso a Termini Imerese.

La donna quindi gli scrive e Mancuso le risponde, raccontandole che sarebbe stato condannato per concussione, ma che è innocente, che sarebbe finito in una trappola tesa da suoi colleghi invidiosi. Le avrebbe giurato amore eterno e promesso che appena libero la loro storia sarebbe continuata. Da quel momento, però, l'uomo avrebbe iniziato anche a chiedere regolarmente dei soldi alla vittima per le sue esigenze in carcere e per pagare le parcelle degli avvocati, per esempio. Prestiti, a suo dire: le restituirà tutto, ha diritto alla pensione e al Tfr, non si deve preoccupare. Così la donna, con vaglia e bonifici, accredita a Mancuso somme tra i 300 e i mille euro.

In una lettera che Mancuso avrebbe mandato dal carcere, datata 4 giugno 2012, l'imputato racconta alla vittima di essersi arruolato nell'Arma nel 1978, di essere stato caposcorta persino del presidente della Camera Nilde Iotti, ma poi anche di vari ministri, come Virginio Rognoni, che nel 1990 sarebbe diventato addetto alla segreteria del comandante generale dei carabinieri e di essere passato infine al Sismi nel 1994. Durante il processo, però, come hanno riferito i carabinieri di Trabia che hanno svolto le indagini, è emerso che Mancuso sarebbe stato in realtà un semplice brigadiere dei carabinieri e che non avrebbe svolto nessuna particolare mansione, nonché di essere stato definitivamente sospeso dall'Arma nel 1999.

Finalmente, dopo aver finito di scontare la pena, l'imputato lascia il carcere a dicembre del 2013. La relazione tra i due riprende con le modalità precedenti, ma non sarebbero cessate le richieste di soldi. La donna avrebbe continuato ad aiutarlo, arrivando però ad indebitarsi con la madre, le amiche e persino a chiedere dei presiti in banca, prosciugando anche i suoi risparmi. Mancuso, dal canto suo, avrebbe continuato a promettere di restiuire tutto e, anzi, le avrebbe pure consegnato un assegno da 10 mila euro, dicendole però che avrebbe potuto incassarlo soltanto dopo 4 mesi, quando avrebbe ricevuto il Tfr. L'assegno sarebbe stato però scoperto.

La storia tra i due arriva al suo epilogo a maggio del 2014, quando Mancuso sparisce un'altra volta. La donna, però, ritrovatasi con seri problemi economici, inizia ad avere finalmente dei dubbi sulla persona che le era apparsa così gentile e premurosa. Ricorda il numero di targa di una macchina con la quale l'imputato una volta era andato a trovarla e decide di fare una visura. E qui si verifica un altro colpo di scena: l'uomo - che ha sempre sostenuto di vivere a Roma - risulta invece residente a Trabia. Ed è proprio lì che la donna decide di andare qualche giorno dopo di buon mattino, bloccando l'imputato mentre tranquillo esce per buttare la spazzatura. Di fronte alle lacrime e alla delusione della signora, alle sue richieste di recuperare tutti i soldi che gli avrebbe dato nel tempo, Mancuso avrebbe fatto nuove promesse, consegnando tre assegni per un valore complessivo di 23.800 euro. Che lei non avrebbe potuto mai incassare perché - come tutti gli altri - scoperti.

Così la vittima aveva deciso di presentare una denuncia per truffa contro Mancuso ad agosto del 2014. In prima battuta, la Procura di Termini Imerese aveva chiesto l'archiviazione, ritenendo che la vicenda fosse di natura civilistica e non penale. Dopo l'opposizione dell'avvocato Benigno, però, l'allora gip Michele Guarnotta aveva disposto nuove indagini e, alla fine, ad agosto del 2017 era arrivato il decreto di citazione a giudizio. Adesso è stata emessa anche la sentenza di condanna.


 

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Si finge carabiniere, corteggia una donna sui social e le spilla 30 mila euro: condannato

PalermoToday è in caricamento