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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

"Atti d'indagine mai depositati", azzerato il processo per truffa al deputato Riccardo Savona

Il gup ha annullato l'avviso di conclusione per il politico dell'Ars, la moglie, la figlia ed altri due imputati dopo aver scoperto che la polizia giudiziaria non ha mai messo a disposizione ben 13 interrogatori e oltre 9 mila pagine di carteggi tra Regione ed enti di formazione. Documenti che, per la difesa, smonterebbero la tesi dei corsi "fantasma"

Tredici interrogatori ed oltre novemila pagine di carteggi e provvedimenti tra la Regione e gli enti di formazione. Sono questi gli atti che non sono mai stati depositati nell'ambito dell'inchiesta contro Riccardo Savona, deputato regionale di Forza Italia, nonché presidente della commissione Bilancio all'Ars, della figlia Simona e della moglie, Maria Cristina Bertazzo. Ed è per questa "grave omissione", come la definisce il gup Marco Gaeta, che il processo - giunto all'udienza preliminare - è stato azzerato e riportato alla fase delle indagini.

Un caso più unico che raro, quello accaduto al palazzo di giustizia e che, come mette in evidenza ancora una volta il giudice nella sua ordinanza, è emerso "solo a seguito dell'intraprendenza del difensore di Riccardo Savona", cioè degli avvocati Salvatore Traina e Manuela Gargano. Il fatto che non sia stata resa nota alle parti - perché neppure la Procura era a conoscenza dell'esistenza di questo materiale investigativo - una tale mole di atti, secondo i legali peraltro favorevole agli imputati, ha minato non solo il loro diritto di difesa, ma la stessa possibilità per i pm di esercitare l'azione penale in maniera completa ed adeguata.

La vicenda al centro del processo è quella sui presunti corsi di formazione fantasma. Un'ipotetica truffa da oltre 900 mila euro che sarebbe stata messa in piedi, per gli inquirenti della guardia finanza, dal politico e dai suoi parenti. Oltre che per i Savona (la figlia è difesa dagli avvocati Dario D'Agostino e Giuseppe Di Stefano, la moglie dall'avvocato Giada Traina) è stato dichiarato nullo l'avviso di conclusione delle indagini anche per Sergio Piscitello, rappresentante della cooperativa "La Fenice", e Michele Cimino, inizialmente fedele collaboratore del deputato e poi suo principale accusatore.

Il gup con l'ordinanza ha disposto la restituzione degli atti al procuratore aggiunto Sergio Demontis ed ai sostituti Maurizio Zoppi e Vincenzo Amico, che - avendo ora anche loro tutto il materiale a disposizione - dovranno decidere come procedere, cioè se chiedere nuovamente il rinvio a giudizio o se archiviare. 

Come spiega il giudice nel suo provvedimento in caso di "omesso deposito di atti di indagini preliminari in sede di deposito dell'avviso di conclusione delle indagini, le soluzioni prospettate dalla giurisprudenza sono due. Secondo un primo indirizzo, maggioritario, la violazione darebbe luogo all'inutilizzabilità dell'atto d'indagine. Alla stregua di un secondo indirizzo, invece, la richiesta di rinvio a giudizio sarebbe affetta da nullità". Il giudice ha condiviso quest'ultima linea e ha motivato: "L'inutilizzabilità condurrebbe a due difficoltà pratiche di primario ed insuperabile rilievo: da un lato, si finirebbe per escludere dalla piattaforma cognitiva elementi che potrebbero ridondare (come parrebbe nel caso in esame) a favore dell'imputato; dall'altro, pregiudicherebbe la completezza dell'accertamento giudiziale, improntato sulla ricerca della verità".

Il gup cita inoltre una recente sentenza della Cassazione che ha rilevato come in caso di omesso deposito di atti d'indagine a seguito dell'avviso di conclusione "appare evidente la violazione dei diritti difensivi dell'imputato, la cui mancata conoscenza delle fonti di prova non può che apparire conclamata". Numerosi i richiami sul tema, come rimarca ancora il giudice, da parte della Cedu.

Il dato rilevante, secondo il gup, nel caso del processo a Savona è legato "alla non conoscenza da parte del pubblico ministero, al momento dell'avviso di conclusione delle indagini, della moltitudine di atti d'indagine ritualmente depositati in udienza come attività integrativa: atti investigativi che solo a seguito dell'intraprendenza del difensore di Riccardo Savona e della successiva formale richiesta da parte del pm sono stati a quest'ultimo trasmessi dalla polizia giudiziaria".

Inizialmente, infatti, sembrava mancasse all'appello soltanto un verbale di un interrogatorio e gli avvocati se ne erano accorti perché, nell'ambito di indagini difensive, avevano deciso di sentire un testimone che aveva riferito però di essere stato già ascoltato dagli investigatori. Un documento di cui, tuttavia, non c'era alcuna traccia. La stessa cosa sarebbe capitata con un altro teste, finché il giudice non ha chiesto alla Procura di fare una ricognizione completa degli atti non depositati. Così sono saltati fuori i 13 interrogatori e un cd con ben 9 mila pagine di provvedimenti e carteggi tra la Regione e gli enti di formazione.

Per questo, il giudice stigmatizza che "la polizia giudiziaria ha perseverato nelle proprie condotte omissive, nonostante fosse emersa già prima dell'avvio dell'udienza preliminare l'incompleta trasmissione degli atti d'indagine. E sono emerse ab initio omissioni di grave rilevanza, sul piano quantitativo e qualitativo, che giustificano una diversa conseguenza: l'indebito trattenimento di una consistente mole di atti d'indagine ha recato una significativa lesione del diritto di difesa", che "non è sanabile ex post nel momento processuale dell'udienza preliminare con il tardivo deposito degli atti".

"A ben guardare - conclude il giudice - la selezione del materiale investigativo operata dalla polizia giudiziaria ha inciso, oltre che sulle prerogative difensive, su quelle del pm, al quale compete l'iniziativa nell'esercizio dell'azione penale e che ha agito disponendo di un patrimonio investigativo solamente parziale". Da qui la nullità dell'avviso di conclusione delle indagini e l'azzeramento del processo.

L'inchiesta sul così detto "Sistema Savona" ha avuto enormi ripercussioni in ambito politico, tanto che, a febbraio, con l'avvio dell'udienza preliminare, Claudio Fava, presidente della commissione Antimafia, aveva per esempio contestato la scelta della Regione che non si era costituita parte civile. 
 

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