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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Ricercatrice condannata, per il giudice è "pericolosa e simpatizzante della Jihad"

Depositate le motivazioni della sentenza di condanna per istigazione del terrorismo di Khadiga Shabbi. La donna si trova nel Cie di Roma e ha chiesto il riconoscimento dello status di rifugiata

"Pericolosa e simpatizzante del fenomeno jihadistico". E' il ritratto che il gup traccia di Khadiga Shabbi, la ricercatrice universitaria libica condannata a un anno e otto mesi per istigazione a commettere reati in materia di terrorismo. Le motivazioni della sentenza sono state depositate oggi. La donna era accusata di legami con esponenti di organizzazioni terroristiche islamiche e foreign fighters e di una fitta attività di propaganda in favore di Al Qaeda svolta attraverso social come Facebook. Contro di lei gli investigatori hanno prodotto intercettazioni telefoniche e i dati dei suoi pc.

Dopo il verdetto, contestuale alla sospensione della pena, la donna è stata scarcerata. Ora si trova nel cie di Ponte Galeria: per lei è stata chiesta l'espulsione dall'Italia, ma i suoi legali hanno fatto istanza di protezione internazionale, dal momento che nel suo Paese è in corso una guerra civile.

"Appare evidente - scrive il gup Lorenzo Iannelli nelle motivazioni della sentenza - la pericolosità concreta delle condotte istigatrici e propagandistiche poste in essere dalla Shabbi, alla luce del contesto in cui le stesse si svolgevano, ossia quello della galassia di simpatizzanti del fenomeno jihadistico internazionale, in cui erano presenti, oltre a ex combattenti e uomini avvezzi alla violenza, anche soggetti come i lupi solitari che, come dimostrano le cronache più recenti, possono essere indotti a rapide scelte di radicalizzazione proprio sulla scorta di rappresentazioni apologetiche analoghe a quella che la Shabbi diffondeva, rappresentazioni che possono concretamente innescare serie causali incontrollate che mettono in pericolo l'ordine pubblico dei paesi coinvolti. Le condotte poste in essere dalla imputata - spiega - appaiono ugualmente orientate non solo a difendere i propri parenti rimasti in Libia, la propria terra e la propria fede, ma anche a giustificare la sopraffazione e la violenta imposizione che le organizzazioni terroristiche, che si fronteggiavano sul campo, intendevano comunque imporre, al di là del rispetto dei principi democratici. Dalle attività di analisi della predetta pagina Facebook - prosegue - si è accertato come Shabbi fosse orientata enfatizzare e diffondere eventi e notizie riguardanti le attività dei combattenti libici (in quell'occasione venivano pubblicate due foto di persone in abiti militari nel corso di un addestramento con il volto coperto). quanto l'imputata fosse integrata nella galassia jihadista". E il giudice cita una frase scritta dalla ricercatrice: "So che io non posso fare nulla, ma se avete bisogno qualsiasi cosa da me io la farò".
 

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