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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca Calatafimi / Corso Calatafimi

"La facciamo fumare e la schiavizziamo", così fu organizzato lo stupro di gruppo di una quindicenne

Dalle motivazioni della sentenza che a luglio ha portato a due condanne emergono retroscena agghiaccianti. La ragazzina fu violentata a turno in un parcheggio nella zona di corso Calatafimi da giovani coi quali aveva già avuto rapporti sessuali: "Ma quel giorno non voleva, subiva inerme perché ricattata"

"Quella è già stordita, ci facciamo le risate, la schiavizziamo", "fa quello che dico io, se non lo fa la ricatto" e "dipende fino a quando vogliamo sfruttarla". Sono agghiaccianti i messaggi che un ventenne avrebbe mandato in una chat Whatsapp a un gruppo di amici per invitarli a stuprare in gruppo una compagna di scuola di appena 15 anni, in un parcheggio nella zona di corso Calatafimi, la mattina del 29 novembre 2018. Emergono - assieme a quelli in cui la ragazzina durante la violenza diceva alle amiche "sto male, voglio morire, mi costringono e mi trattano come una prostituta" - dalle motivazioni della sentenza con la quale a luglio il giovane è stato condannato a due anni e mezzo e uno dei suoi amici a due anni e quattro mesi con l'abbreviato. Un terzo imputato, loro coetaneo, è stato invece recentemente assolto dalle stesse accuse dal tribunale.

Il giudice: "Avevano già avuto rapporti, ma quel giorno fu un abuso"

Oltre ai terribili e "sordidi" retroscena, però, il giudice Clelia Maltese mette in chiaro non solo che la ragazzina è assolutamente credibile, ma pure che, se anche aveva già avuto rapporti sessuali con gli imputati ed altri loro amici in altre circostanze, questo non implica affatto che quel giorno fosse consenziente. La giovane sarebbe stata invece forzata perché ricattata. Uno degli imputati, infatti, l'avrebbe minacciata di diffondere una sua fotografia in cui indossava solo una maglietta e uno slip e lei, terrorizzata, "al fine di evitare le conseguenze paventate dal ragazzo, subiva, quasi inerme, la volontà di questi e dei suoi due amici". I due imputati hanno avuto uno sconto di pena sia per la scelta dell'abbreviato, sia perché molto giovani ed incensurati, ma anche perché hanno risarcito con 40 mila euro ciascuno la vittima. Erano stati arrestati a luglio dell'anno scorso su disposizione del procuratore aggiunto Annamaria Picozzi e dei sostituti Giorgia Righi e Sergio Mistritta e oggi sono tutti liberi. 

Il racconto della vittima: "Mi ricattava con la foto, avevo paura"

Era stata la ragazzina a ricostruire e denunciare come sarebbero andate le cose quel giorno, spiegando che per un periodo aveva frequentato uno dei ragazzi, ma che poi, capendo che voleva soltanto avere rapporti sessuali con lei, avrebbe deciso di non frequentarlo più. Lui allora avrebbe iniziato a ricattarla: "Lui mi ha chiamata minacciandomi che se non andavo da lui avrebbe stampato la mia foto e sarebbe andato ad appenderla in luoghi pubblici e che l'avrebbe inoltrata a tutti tramite telefono... A questo punto io ho avuto paura e gli ho proposto di vederci il 29 per parlare della situazione".

"Mi toccava dappertutto..."

Lui era quindi passato a prenderla a scuola con la sua minicar e l'aveva portata in una zona appartata dalle parti di corso Calatafimi: "Ha iniziato a baciarmi contro la mia volontà e ha iniziato a toccarmi dappertutto dal seno sino alle cosce. Con la forza mi ha messo le mani sotto la maglietta e mi ha sbottonato il jeans". Infine, l'avrebbe costretta ad un rapporto orale. Poi sarebbe uscito dalla macchina e con il telefono delle ragazza avrebbe chiamato gli altri. Racconta ancora la vittima: "Mi disse che se non fossi andata anche con gli altri due la fotografia comunque sarebbe girata lo stesso".

"Era un rapporto basato sul sesso"

Durante il processo è stato comunque ricostruito che la quindicenne aveva avuto rapporti non solo con gli imputati, ma anche con altri ragazzi. Uno di loro peraltro l'aveva contattata su Instagram proprio perché sapeva da amici comuni della sua disponibilità ad approcci sessuali. Sono gli stessi giovani a definire il rapporto come una "scopamicizia" ("era un rapporto basato su rapporti sessuali, ovviamente consenzienti, senza un impegno di fidanzamento, senza un sentimeno di base"). La quindicenne però, già durante l'estate precedente alla violenza, avrebbe detto più volte a uno degli imputati di "voler mettere la testa a posto" e gli scriveva: "Non succederà e basta, né con te né con nessun altro, onestamente vorrei mettermi la testa a posto", ma lui replicava: "Ancora sei piccola per fidanzarti". La ragazzina chiudeva: "Lo so, ma non significa che devo fare così".

"Sono in un casino più grande di me"

Il ricatto emerge poi dalle confidenze della giovane a un'amica: "Mi fa: 'Se non ci vediamo questa settimana mando quella foto a tutti', non pensavo fosse così, mi ricatta, non so come uscirne, vorrei ammazzarmi". Ad un amico raccontava: "Mi sta ricattando, sono in un casino più grande di me... Un attacco di panico ora mi viene, ho mal di testa, mal di pancia, tremo, ora muoio". La preoccupazione sarebbe stata tale che la vittima il giorno prima dell'incontro fatale - quello in cui sperava di risolvere da sola la questionre - avrebbe fatto delle ricerche in rete per capire come difendersi, cercando da Google "Legge su foto porno girate sul web" e leggendo una serie di articoli sul revenge porn.

La chat con le amiche: "Se non cancella la foto lo denunciamo"

Il pomeriggio precedente alla violenza la quindicenne aveva creato una chat Whatsapp, "Cuoricine", in cui si confrontava con le amiche: "Io voglio morire", "non posso dire questa cosa a mia mamma, meglio che gira la foto invece di dirglielo, sto cercando la legge contro queste cose, domani gli chiedo di cancellarla, se non lo fa lo denunciamo", sosteneva.

L'imputato: "Venite così la schiavizziamo!"

La mattina della violenza anche il ragazzo che avrebbe ricattato la giovane aveva conversato con gli altri imputati ed altri amici in una chat Whatsapp, "XNX", e scriveva: "Chi se la vuole fare stamattina? Sono con la p... professionista, il primo è andato, tra poco passo al secondo" e aveva poi incitato gli altri a raggiungerlo perché lei "fa quello che dico io". Diceva anche che avrebbe preparato una canna così lei l'avrebbe fatto "tutta fusa", "dipende fino a quando vogliamo sfruttarla". Uno degli altri imputati, quello che poi è stato assolto nell'altro processo, rispondeva: "Non facciamo che ci fa venire e poi non se la sviluppa" e l'altro: "Cucì, se non lo fa la ricatto... Quella è già stordita, dai ci facciamo le risate, la schiavizziamo".

"Mi trattano come una prostituta, vorrei morire..."

Durante l'abuso, la quindicenne aveva continuato a scrivere nella chat "Cuoricine": "Mi batte forte il cuore, ho mal di pancia, tremo, mi viene da vomitare, un attacco di panico... Sto male, non mi piace più, voglio scappare, sono fusissima... Mi sta trattando male, come una prostituta, voglio morire, questo è malato, mi fa: 'Sai che se non lo fai...'" e ancora: "Ragazze, aiuto, voglio morire, sto male, c'è un suo amico, venitemi a prendere... Mi ha costretta, vuole che lo faccio anche con loro, io vorrei morire, voglio scappare, mi tratta tipo prostituta".

Il gup: "Intimorita, la giovane ha subito quasi inerme"

Per il giudice "tali numerosi e ripetuti messaggi fotografano dal vivo e in tempo reale lo stato d'animo della ragazza e lo svilupparsi dei fatti, non potendo certo affermarsi, come suggerito dalla difesa degli imputati, che il messaggiare della ragazza con le sue amiche sia una prova della assoluta tranquillità della stessa e quindi della sua libera scelta di avere rapporti sessuali con tre ragazzi. Anzi, il fatto che comunicasse alle amiche il suo grave disagio e dall'altro praticasse ai ragazzi un rapporto orale (subendo anche il toccamento delle parti intime) dimostra ancora di più come la volontà della ragzza fosse fortemente coartata dalla minaccia dell'imputato: il ricatto perpetrato la intimoriva grandemente, ragione per cui, al fine di evitare le conseguenze paventate dal ragazzo, subiva, quasi inerme, la volontà di questi e dei suoi due amici".

"Mi faccio schifo da sola"

Il giorno successivo, la giovane scriveva alle amiche: "Io sto male, non ce la faccio più, mi sono sentita uno schifo, anche di quei due, sono morta dentro, non mi sento più niente" e una di loro rispondeva: "Noi te l'avevamo detto di non andarci". A un amico diceva poi: "Come dire violentata, con la forza mi hanno costretta e io non potevo fare nulla, potevo solo amazzarmi, mi sono ritrovata chiusa in una macchina a dover fare tipo la prostituta per loro". A un altro compagno: "Mi faccio schifo da sola, ormai quello che ho passato non posso cancellarlo e me lo porterò dentro per sempre" e "sono stata ricattata per una foto e se non facevo determinate cose la spargevano in giro e contro la mia volontà".

"Le foto in abiti succinti non annullano le minacce e la violenza"

Il gup non ha dubbi e ritiene che la violenza di gruppo sia provata, rimarcando che il "quadro probatorio non è in alcun modo scalfito dal fatto che la giovane abbia omesso, soprattutto in sede di prima denuncia, alcuni fatti o circostanze relativi alla natura dei rapporti pregressi con i ragazzi, per salvaguardare la propria immagine". E aggiunge: "Nessun pregio rispetto alla concreta e dimostrata situazione psicologica di soggezione in cui si trovava la ragazza in seguito all'atteggiamento gravemente minatorio assunto nei suoi confronti dall'imputato ha la circostanza che la ragazza era solita inviare ai ragazzi e pubblicare sul suo profilo Instagram foto di sé in abiti succinti o in costume da bagno".

"Libera di vivere la sua sessualità come voleva, ma non quel giorno"

Si legge ancora nelle motivazioni della sentenza: "La minaccia di veder così gravemente compromessa la propria immagine appare, allora, certamente idonea a coartare la volontà di un'adolescente, influendo in concreto e negativamente sul processo mentale di libera determinazione della stessa. Del pari non è certo dimostrativo della libera volontà della ragazza di avere rapporti sessuali con gli imputati quella mattina, il fatto che altre volte la ragazza di sua spontanea volontà aveva deciso di vivere la sua sessualità praticando rapporti orali a più ragazzi nello stesso contesto temporale: i numerosi, circostanziati, gravi e univoci elementi probatori raccolti dimostrano infatti che quel giorno la giovane praticava rapporti orali agli imputati perché gravemente e reiteratamente minacciata dagli imputati". 
 

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