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Cronaca

"Il mio ex mi perseguitava e mi ha bruciato due auto", per i giudici mente: uomo assolto in appello

Ribaltata la sentenza a carico di F. P., 39 anni, che in primo grado era stato condannato a 3 anni e a risarcire la presunta vittima con 20 mila euro. La difesa ha dimostrato che i roghi sarebbero stati provocati da cortocircuiti e che l'imputato non avrebbe mai chiamato la donna per molestarla: "E' stato lui a lasciarla"

Minacce, insulti, addirittura schiaffi e persino l'incendio di due auto. E' così che, secondo la Procura e il giudice di primo grado, F. P., 39 anni, avrebbe perseguitato - facendole perdere anche il lavoro di cameriera - la sua ex di tre anni più grande, quando avrebbe deciso di lasciarlo. Cinque mesi, da luglio a dicembre 2019, che la donna ha descritto come un inferno, fatto di paura costante, violenza, telefonate e anche minacce di morte ("se chiami i carabinieri ti sparo", "devi buttare il sangue", "ti deve venire un infarto") e che avevano portato il tribunale monocratico a condannare l'imputato a 3 anni, oltre al pagamento di un risarcimento di 20 mila a gennaio. Una sentenza che, però, adesso è stata totalmente ribaltata dalla Corte d'Appello: F. P. è stato infatti assolto dall'accusa di stalking con la formula "perché il fatto non sussiste" e sono stati revocati sia il risarcimento che il divieto di avvicinamento alla presunta vittima.

Tradotto vuol dire che il collegio della terza sezione, presieduto da Antonio Napoli, accogliendo le tesi della difesa, rappresentata dagli avvocati Marcello Pirrotta ed Alessandro Pergolizzi, non ha creduto a una sola parola di quanto denunciato dalla donna: sarebbe stato l'imputato a lasciarla, per esempio, e non il contrario, non vi sarebbe alcuna prova che ad appiccare il rogo alle auto della presunta vittima sia stato F. P. e per la verità il reato di incendio o di danneggiamento non gli è neppure mai stato contestato dalla Procura, visto che in un caso si è trattato addirittura di un cortocircuito.

La versione della difesa: "Lei ha inventato tutto"

L'imputato ha un problema di tossicodipendenza e non sarebbe stato mai accettato dalla famiglia dell'ex (la madre e la sorella l'hanno definito "falso", "cattivo", "arrogante") e sarebbe stato questo, secondo la difesa, il reale motivo che avrebbe portato alla rottura tra i due. La donna, sempre secondo gli avvocati, avrebbe deciso di denunciare per stalking l'imputato soltanto dopo l'incendio di una delle sue auto, convinta che fosse stato lui - e anche se avrebbe saputo dell'origine accidentale del rogo - e non subito, quando a suo dire, cioè a luglio del 2019, l'uomo avrebbe cambiato completamente comportamento e, accusandola di avere relazioni con altri, avrebbero iniziato a litigare ogni giorno. Inoltre, la difesa ha dimostrato che la perdita del posto di lavoro sarebbe legata alle condizioni di salute precarie della presunta vittima, alla quale non era stato rinnovato un contratto a termine a dicembre del 2019, e in seguito a prolungate assenze proprio per ricoveri e visite.

La condanna e la disquisizione sul senso della parola "pulla"

In primo grado, il giudice aveva invece creduto pienamente alla denuncia della donna,(anche se le sue dichiarazioni avrebbero trovato conferma soltanto nelle parole della sorella e della madre). Aveva definito il tentativo dell'imputato di negare gli addebiti "sprezzante" e l'aveva ritenuto "a tratti umoristicamente inattendibile, arrivando ad affermare la possibilità dell'autocombustione delle auto". Durante il dibattimento c'era stato anche anche un scambio di vedute con l'imputato "sul valore semantico" delle parole "pulla" e "buttana", nonché di "cunsuma casate", ma F. P. aveva spiegato di aver utilizzato questi termini intendendo dire che la ex fosse "poco seria", una "donnaccia", che "mi vinni a cunsumari i miei sentimenti, ha giocato con i miei sentimenti... non sono parole minacciose".

La presunta vittima: "Era geloso e mi ha schiaffeggiata"

La presunta vittima aveva raccontato che da luglio 2019 "lui era cambiato, mostrandosi possessivo, nervoso e irascibile", "mi accusava di avere altre relazioni e litigavamo ogni giorno, mi minacciava e mi insultava, diverse volte ha colpito con un pugno il muro, buttato a terra con violenza una sedia e una volta mi ha pure dato uno schiaffo". Infine: "Quando ho deciso di andare via ha cercato di impedimelo in tutti i modi, ha preso con forza il mio telefono e le chiavi della mia auto e mi ha chiusa a chiave in casa, dicendomi più volte: 'Se chiami i carabinieri ti sparo'".

L'incendio dell'auto per un cortocircuito

Secondo la versione della donna, inoltre, "a ottobre ha minacciato di brucciarmi la macchina, ho comprato una Panda ed ero proprietaria di una Cinquecento" e il 17 dicembre questa seconda auto aveva preso effettivamente fuoco, ma i pompieri - lo ha ammesso la stessa preunta vittima durante il processo - avevano subito escluso l'origine dolosa. Per il giudice di primo grado si sarebbe però raggiunta la prova dello stalking e anche di "violenze psicologiche, ingiurie, atti di prevaricazione ai danni della persona offesa", sulla scorta pure delle "interazioni telefoniche registrate con l'imputato". Da qui la condanna a 3 anni e al pagamento di 20 mila euro di danni.

Gli avvocati: "Nessuna prova contro l'imputato"

Una sentenza che gli avvocati hanno impugnato, mettendo in evidenza come "nessuna conversazione telefonica è stata prodotta in giudizio", ma ci sarebbe solo uno scambio in chat su Facebook (quello in cui l'imputato dava della "pulla" alla ex) "avente al più natura offensiva". Inoltre, la difesa ha messo in evidenza come la donna non aveva denunciato nulla a luglio del 2019 ma si era determinata solo dopo l'incendio di una delle sue macchine. Dato che lei ha giustificato sostenendo che "è stato un periodo che ho passato più in ospedale". Ma - dicono gli avvocati - in quel periodo avrebbe comunque trovato il tempo di denunciare lo smarrimento di 3 sim.

"E' stato lui a lasciarla, la famiglia di lei non lo accettava"

Secondo la difesa, inoltre, dai tabulati emergerebbe che sarebbe stata la presunta vittima a chiamare più volte l'imputato da un nuovo numero e in anonimo e non il contrario. In base alla ricostruzione alternativa dei fatti compiuta dagli avvocati - che è stata accolta in appello e mai menzionata invece nella sentenza di primo grado - a febbraio del 2019 l'imputato era stato ricoverato in una comunità per i suoi problemi con la droga e una volta uscito avrebbe notato profondi cambiamenti nella compagna, forse pressata anche dalla madre e dalla sorella, decidendo di interrompere la relazione. Sarebbe tornato sui suoi passi a giugno, quando la donna aveva avuto gravi problemi di salute, fino a chiudere definitivamente il 17 novembre.

L'assoluzione in appello

Non vi sarebbe dunque traccia di persecuzione e minacce, neppure di telefonate (se non quelle fatte a lui dalla ex) né prove che gli incendi siano stati provocati dall'imputato e, in definitiva, di stalking. Tesi che hanno convinto la Corte d'Appello che ora ha del tutto scagionato F. P., revocando anche il risarcimento alla parte civile.
 

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