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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

"Non perseguitò e non minacciò l'amante", assolto in appello l'ex presidente dell'Irfis Rosario Basile

L'imputato era stato condannato a 3 anni e mezzo in primo grado. Per la vicenda, legata ad un presunto ricatto nato da una relazione extraconiugale e dalla nascita di un figlio, era stato pure arrestato nel 2016. Scagionate e prescritte anche altre tre persone, tra cui un maresciallo dei carabinieri

Era una storia strettamente privata quella che, ad aprile del 2016, fece finire agli arresti domiciliari l'avvocato Rosario Basile, all'epoca presidente dell'Irfis e patron della Ksm, legata ad una relazione extraconiugale con un'ex dipendente, ad una gravidanza e ad un figlio da riconoscere, tra presunte minacce e ricatti. Dopo una condanna a 3 anni e mezzo in primo grado adesso la prima sezione della Corte d'Appello ha cancellato tutto, anche per altri 3 imputati, rivedendo la sentenza emessa dalla terza sezione del tribunale il 24 gennaio dell'anno scorso.

Il collegio presieduto da Adriana Piras, infatti, ha deciso di assolvere nel merito Basile dalle accuse di stalking e violenza privata nei confronti dell'ex dipendente e di dichiarare prescritto il reato di calunnia. L'imputato è difeso dagli avvocati Giovanni Di Benedetto, Fabio Lattanzi e Francesca Russo. La presunta vittima non si è costituita parte civile.

Assoluzione e prescrizione anche per l'ex dirigente della Ksm, Francesco Paolo Di Paola (era stato precedentemente condannato a 3 anni) e per Veronica Lavore (a cui erano stati inflitti 2 anni). Sono entrambi difesi dagli avvocati Salvino e Giada Caputo e Francesca Fucaloro. Del tutto scagionato anche il maresciallo dei carabinieri Salvatore Cassarà (difeso dall'avvocato Gianfranco Viola), che secondo l'accusa avrebbe fornito informazioni riservate sulla donna a Basile, accedendo anche abusivamente alle banche dati delle forze dell'ordine. Il militare era già stato assolto dalle accuse in primo grado, ma in appello i giudici lo hanno fatto con formula piena, cioè "perché il fatto non sussiste", e non com'era accaduto in precedenza per "particolare tenuità del fatto". Una decisione che evita al carabiniere anche il rischio di procedimenti disciplinari e di problemi sul lavoro.

A far scattare l'inchiesta era stato in realtà proprio Basile che, in prima battuta, aveva accusato l'ex dipendente con cui avrebbe avuto una relazione di tentata estorsione. L'imputato avrebbe ricevuto una serie di messaggi in cui - in sintesi - gli veniva chiesto di tirare fuori dei soldi anche se il bambino che la donna aspettava non fosse stato suo. Un ricatto, che Basile aveva attribuito all'ex amante. Poi, però, venne fuori che i messaggi non sarebbero stati inviati dal cellulare della donna e per questo l'indagine a suo carico era stata archiviata e partì invece quella per calunnia, stalking e violenza privata per l'ex presidente dell'Irfis.

Secondo la Procura sarebbe stato infatti Basile - assieme agli altri imputati - a perseguitare l'ex dipendente per cercare di costringerla tra l'altro ad abortire, ma anche nel tentativo di recuperare il dna del bambino che provava al 99% che fosse lui il padre del bambino. Già durante l'interrogatorio di garanzia l'imputato disse che avrebbe voluto riconoscere il bimbo proprio alla luce del test. La paternità fu poi sancita, nel 2017, dal tribunale civile, che condannò anche Basile a pagare 28 mila euro alla donna a fronte dei 200 mila che chiedeva. Adesso, dopo una condanna in primo grado, è arrivata l'assoluzione in appello.

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