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Cronaca Zen / Via Marciano Rocky

"La sparatoria contro la volante allo Zen ci fu davvero": ecco perché sono stati assolti 2 poliziotti

Le motivazioni della sentenza con la quale a marzo un ispettore e un'assistente capo sono stati scagionati dall'accusa di essersi inventati nel 2015 un conflitto a fuoco in via Rocky Marciano per ottenere un premio. Un episodio per cui furono anche arrestati: "La loro versione è coerente, le ipotesi alternative sono indimostrate"

La verità è spesso molto più semplice di quanto ipotizzino certe inchieste giudiziarie. Per il giudice della quinta sezione del tribunale monocratico, Salvatore Flaccovio, la ricostruzione della Procura secondo cui due poliziotti si sarebbero addirittura inventati una sparatoria allo Zen, con tanto di danneggiamento dell'auto di servizio, di sparo autolesionistico al braccio di uno degli agenti e di accuse rivolte ad un perfetto sconosciuto come autore dell'aggressione, e soltanto per ottenere un premio, si fonderebbe su "ipotesi indimostrate". Mentre "gli elementi acquisiti consentono di ritenere provato che il 16 marzo 2015 i due imputati sono stati vittime di un'aggressione armata, proprio nel luogo da loro indicato": da qui la decisione di assolvere lo scorso marzo, dopo 5 anni di processo, l'ispettore Francesco Elia e l'assitente capo Alessandra Salamone.

Che quella sparatoria sia realmente avvenuta e ai danni dei poliziotti (e a questo punto non si sa chi ne sia l'autore), per il giudice emerge "dal danneggiamento del cofano dell'auto di servizio con un colpo di arma da fuoco, dalla ferita di striscio al braccio sinistro di Elia, anch'essa riconducibile secondo i periti ad un colpo di arma da fuoco, dalla presenza degli imputati sul posto della denunciata sparatoria al momento dell'intervento della polizia giudiziaria, dal rinvenimento dei bossoli sul luogo della sparatoria, dallo stato di evidente trauma in cui è stata trovata Salamone" dopo i fatti. "La ricostruzione degli imputati - scrive il giudice nelle motivazioni della sentenza - appare come una di quelle possibili, ed è comunque coerente con i dati certi acquisiti nel corso del dibattimento".

La perizia balistica e i dubbi sulla ferita

Durante il processo, infatti, come hanno sostenuto i difensori degli imputati, gli avvocati Nino Zanghì, Teresa Re ed Alessandro Pergolizzi, la perizia balistica disposta dal giudice ha sancito che "non è possibile stabilire il tipo di proiettile, piombo nudo o camiciato in ottone, che ha colpito l'auto della polizia né individuare con certezza l'angolazione del tiro verso la macchina" e che "è ipotizzabile che il proiettile, dopo aver impattato il cofano e creato un solco, sia rimbalzato, creando uno squarcio che ha tranciato parte del proiettile". Quanto alla ferita di Elia ci sarebbero due possibilità: "O l'imputato è stato colpito di rimbalzo dal proiettile che ha impattato contro il cofano o è stato attinto da un altro proiettile (...) Si può solo affermare che l'imputato è stato colpito dal basso verso l'alto" e che "la ferita non presentava segni di affumicatura o bruciatura tipici di uno sparo ravvicinato", come inevitabilmente avrebbe dovuto essere se si fosse ferito da solo.

"Nessun motivo per accusare un innocente"

Non solo. "Non è emerso - scrive ancora il giudice - quale motivo avrebbe spinto entrambi gli agenti a mentire sull'identità dell'autore di una vera aggressione armata ai loro danni, posto che costoro neppure conoscevano Roberto Milenkovich", ovvero l'uomo che venne inizialmente arrestato come autore della sparatoria e che poi divenne vittima della calunnia che, secondo la Procura, sarebbe stata ordita dai poliziotti ai suoi danni. Poliziotti che "comunque mai lo hanno accusato direttamente" e mai lo hanno identificato come loro aggressore. 

L'inseguimento e l'arresto

Quel 16 marzo di 7 anni fa fu veramente un giorno di follia, perché quando alle 18.26 i due imputati segnalarono la sparatoria in via Rocky Marciano, allo Zen, chiedendo rinforzi furono mobilitate decine di volanti e, meno di un'ora dopo, alle 19.15, una pattuglia individuò la Hyundai Atos grigia, che Elia e Salamone avevano indicato come mezzo dei loro aggressori, in via Trapani Pescia e, dopo un inseguimento, arrestarono il conducente, Milenkovich. Il romeno, di etnia Rom, non venne mai indicato però dagli imputati come colui che aveva aperto il fuoco: i due hanno sempre sostenuto che a scendere e sparare fosse stato il passeggero e non l'autista.

L'alibi dell'indagato

Successivamente, grazie ad uno scontrino, Milenkovich dimostrò che alle 18.22 di quel 16 marzo si trovava in un supermercato di via Resuttana e che poi, essendo sottoposto all'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, andò al commissariato San Lorenzo per firmare. Il suo passaggio lì alle 19.10 è documentato dalle immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza. L'uomo spiegò inoltre di essere inizialmente fuggito perché non aveva capito che ad inseguirlo fossero poliziotti, essendo tutti in borghese.

Le immagini di un pomeriggio di follia | Video

L'accusa: "Nei video la volante non segue nessun veicolo"

I dubbi degli inquirenti (le indagini all'epoca furono coordinate dal sostituto Maurizio Bonaccorso) si intensificarono dopo aver analizzato i video ripresi dalle telecamere del centro commerciale Conca d'Oro: si vedeva sì una Fiat Brava della polizia come quella utilizzata quel giorno da Elia e Salamone, ma non sembrava seguire alcun veicolo, mentre la prima segnalazione dei due alla centrale operativa riguardava proprio il pedinamento della Atos, ritenuta rubata. La situazione si era dunque ribaltata e sotto inchiesta, per essersi inventati la sparatoria accusando ingiustamente Milenkovich, poi parte civile nel processo, finirono proprio i due poliziotti, che vennero anche arrestati.

"L'auto degli aggressori aveva seminato quella dei poliziotti"

Scrive il giudice: "Le prove a carico degli imputati si basano esclusivamente sulle immagini estrapolate dalle telecamere di sorveglianza del centro commerciale, nonché sul raffronto delle stesse con le comunicazioni radio intercorse tra i due agenti e la sala operativa" e "dalle immagini emerge che la pattuglia con Elia e Salamone si trovava realmente in via Scordia alle 18.15 del 16 marzo 2015 (...) Tuttavia, secondo quanto riferito dagli investigatori, sembrava che non stesse seguendo alcun veicolo, in quanto non si scorgeva alcuna vettura il cui comportamento fosse compatibile con quello descritto dagli imputati nelle comunicazioni radio e successivamente nelle relazioni di servizio. A tal proposito, però, appare possibile che come sostenuto dagli imputati, quando questi ultimi venivano ripresi dalla telecamera, l'auto dei malviventi non veniva inquadrata poiché, dopo aver seminato i poliziotti, si immetteva all'interno di una delle strade o ville presenti sulla via Scordia e, percorrendo altre strade, raggiungeva la via Rocky Marciano, ove successivamente avveniva il conflitto a fuoco".

"Nessuna falsità nelle relazioni di servizio"

Inoltre "non sono emerse prove sufficienti per affermare la falsità della ricostruzione degli avvenimenti, così come operata dagli imputati nell'annotazione di servizio. Le evidenziate contraddizioni tra ciò che veniva dichiarato da Elia e Salamone in sede di annotazione di servizio e quanto riferito dagli stessi nel corso degli interrogatori resi al pm, al gip ed alla pg non risultano essere così rilevanti e possono essere giustificate alla luce dello stato emotivo degli agenti al momento della redazione della stessa (...) Più che di contraddizioni si può parlare di puntualizzazioni e integrazioni, che venivano fornite successivamente, a mente lucida e con una ristabilita serenità, che di certo nessuno, anche se appartenente alle forze dell'ordine, riuscirebbe a mantenere subito dopo un conflitto a fuoco, che addirittura nel caso di specie cagionava un ferito".

"Gli imputati sono le vere vittime"

Infine "non è emersa alcuna prova che a danneggiare l'auto di servizio sia stato uno degli imputati (come del resto riconosciuto dallo stesso pm nel corso della requisitoria). Appare anzi provato il contrario - conclude il giudice - e cioè che, come più volte evidenziato, un terzo abbia esploso colpi di arma da fuoco all'indirizzo dei due imputati".
 

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