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Cronaca

La sparatoria contro una volante allo Zen, assolti due poliziotti: "Non fu una messinscena"

L'aggressione risale al 16 marzo 2015 e fu fermato un romeno, accusato di aver aperto il fuoco contro gli agenti. L'anno dopo, però, l'uomo fu scagionato e vennero arrestati l'ispettore e l'assistente capo vittime dell'agguato: per il pm si sarebbero inventati tutto, compresa una ferita, per ottenere un premio. Una tesi alla quale il giudice non ha creduto

La sparatoria allo Zen contro una volante della polizia, il 16 marzo del 2015, ci sarebbe stata per davvero: i due poliziotti contro i quali sarebbe stato aperto il fuoco, l'ispettore Francesco Elia, che rimase anche ferito di striscio da un proiettile, e l'assistente capo Alessandra Salamone non si sarebbero inventati proprio nulla. Dopo un lungo processo, il giudice della quinta sezione del tribunale monocratico, Salvatore Flaccovio, ha infatti deciso di assolverli entrambi "perché il fatto non sussiste".

E' crollata completamente, dunque, la ricostruzione della Procura (a seguire le indagini allora fu il sostituto procuratore Maurizio Bonaccorso), secondo cui i due imputati si sarebbero inventati la sparatoria per ottenere un premio. Le accuse per i poliziotti - che finirono anche agli arresti domiciliari - erano molto gravi: calunnia, simulazione di reato, falso, procurato allarme e danneggiamento della volante che avevano utilizzato quel giorno per lavorare. Il giudice ha accolto pienamente le tesi dei loro difensori, gli avvocati Nino Zanghì, Teresa Re e Alessandro Pergolizzi. 

Le immagini dopo la sparatoria allo Zen | Video

Una storia surreale quella al centro del processo, che è nato da quello che davvero si può definire un pomeriggio di follia. Intorno alle 18.30 di quel 16 marzo, infatti, dopo l'allarme lanciato dallo Zen per la sparatoria, decine di equipaggi della polizia si misero a caccia dell'auto con a bordo i presunti autori dell'aggressione (ad oggi mai identificati). Dopo un inseguimento rocambolesco per le strade della città, venne bloccato un mezzo con a bordo un romeno di etnia Rom, Roberto Milankovic.

L'uomo finì in carcere e ci rimase per due mesi, quando si scoprì che proprio nei minuti in cui avveniva la sparatoria lui era intento a firmare al commissariato San Lorenzo. Perché fuggì all'alt e non si fermò neppure dopo quel lungo inseguimento da parte della polizia? Non aveva la patente. A quel punto, i poliziotti vittime dell'aggressione, diventarono per la Procura i colpevoli: si sarebbero inventati il conflitto a fuoco, arrivando anche all'autolesionismo (Elia, secondo questa ricostruzione, si sarebbe sparato volutamente al braccio per simulare l'aggressione) pur di ottenere un premio. E vennero così arrestati a loro volta.

Gli imputati, sin dai primi interrogatori, hanno sempre negato le accuse e di fatto, come hanno dimostrato gli avvocati, non hanno mai riconosciuto Milankovich (che si è costituito parte civile nel processo, in quanto presunta vittima della calunnia) come colui che quel giorno li avrebbe aggrediti. Contro l'ispettore e l'assistente capo c'era una perizia balistica, affidata dal pm ad un esperto di armi antiche, che stabilì che un pezzo di proiettile ritrovato allo Zen sarebbe stato compatibile con quelli sparati dalle Beretta in uso alla polizia. Da ulteriori accertamenti, compiuti anche dal Ris dei carabinieri, è invece emerso che quello sarebbe stato semplicemente un pezzo di piombo e che nulla poteva ricondurlo alle armi degli imputati.

Ci sono voluti 5 anni per arrivare alla sentenza e scagionare totalmente i due poliziotti. E quella sparatoria allo Zen, alla luce del verdetto emesso oggi, resta un giallo: perché ci fu certamente, ma non si sa chi abbia realmente aperto il fuoco contro la volante in cui si trovavano l'ispettore Elia e l'assistente capo Salamone.

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