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Venerdì, 22 Settembre 2023
Cronaca

Il pentito gli affidò 27 mila euro, ma lui non li restituì mai: ex poliziotto dovrà risarcirlo

L'ex boss Francesco Franzese aveva denunciato Tommaso Alotta, ex ispettore della squadra mobile poi passato all'Aisi. Gli consegnò i soldi nel 2007 quando fu trasferito in una località protetta, ma nonostante i solleciti non riuscì a riaverli. L'imputato era stato condannato, ma la Cassazione ha dichiarato il reato prescritto

Il pentito Francesco Franzese, assieme alla moglie, gli aveva affidato 27 mila euro proprio nei giorni in cui era stato costretto a trasferirsi in una località protetta per via della decisione di collaborare con la giustizia. Ma l'ex ispettore della squadra mobile, Tommaso Alotta, 57 anni, poi trasferito all'Aisi, quei soldi - nonostante ripetute richieste da parte della coppia - non li aveva mai restituiti. Da qui la condanna a due anni per appropriazione indebita rimediata in appello, che la Cassazione in queste settimane ha però dichiarato prescritta. I giudici hanno tuttavia confermato il diritto al risarcimento di Franzese e hanno pure condannato l'imputato a pagare duemila euro di spese di giudizio.

La sentenza emessa dalla seconda sezione della Suprema Corte (presidente Domenico Gallo) mette fine a una vicenda iniziata più di una decina di anni fa. Franzese (difeso dall'avvocato Valeria Maffei), ex boss di Partanna Mondello e vicinissimo ai capimafia Salvatore e Sandro Lo Piccolo, era stato arrestato il 2 agosto del 2007 in una villetta di via Salerno, a Cruillas. Nel suo covo vennero ritrovati diversi pizzini proprio dei Lo Piccolo ed anche un elenco di commercianti costretti a pagare il pizzo. Franzese decise rapidamente di collaborare con la giusitizia e, a novembre di quello stesso anno, vennero catturati dopo un lungo periodo di latitanza i Lo Piccolo, a Giardinello.

Alotta, che ha fatto parte proprio del pool che arrestò i "baroni" di San Lorenzo, conobbe Franzese in quei mesi. Il collaboratore, dovendo lasciare la Sicilia per motivi di sicurezza, aveva raccomandato alla moglie di consegnare i 27 mila euro all'ex ispettore della squadra mobile, di cui si fidava. L'accordo era quello di recuperare i soldi in un secondo momento.

Quando Franzese si era però sistemato e aveva chiesto verbalmente all'imputato di riavere il suo denaro, questi aveva fatto orecchie da mercante. Così il 27 luglio del 2011 il pentito si era deciso ad inviare una diffida, con una raccomandata. Anche questa richiesta era però rimasta inevasa. Da qui la denuncia per appropriazione indebita presentata contro Alotta.

L'imputato ha da sempre respinto l'accusa, sostenendo di non aver mai ricevuto quei soldi dalla moglie di Franzese e di non avere dunque nulla da restituire. I giudici, sin dal primo grado, non gli hanno però mai creduto. Dopo una condanna inflitta dal giudice monocratico il 16 ottobre del 2017, all'ex ispettore della Mobile la Corte d'Appello aveva deciso di ridurre la pena a 2 anni il 12 marzo del 2019. Alotta ha però fatto ricorso in Cassazione.

I giudici, che hanno ritenuto legittima la pronuncia di secondo grado, hanno tuttavia stabilito che il reato di appropriazione indebita contestato all'imputato si è prescritto il 14 giugno del 2019. La sentenza per questo motivo è stata annullata senza rinvio, pur confermando il diritto al risarcimento di Franzese e della moglie e condannando l'ex poliziotto della squadra mobile a pagare duemila euro di spese di giudizio.

L'imputato nel ricorso presentato in Cassazione contestava anche il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, essendo incensurato ed avendo ricevuto diversi encomi per il suo lavoro. Ma la Suprema Corte ha chiarito che la decisione dei giudici precedenti era stata giusta alla luce della "gravità del fatto, dell'entità della somma oggetto di appropriazione, del contesto e delle modalità dell'azione, essendo stata la condotta illecita posta in essere da un rappresentante delle forze dell'ordine che ha rivelato una personalità ambigua (anche per i rapporti con altro soggetto attinto da misura di prevenzione patrimoniale), e della totale mancanza di segni di resipiscenza, avendo l'imputato continuato a negare ogni addebito".
 

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