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Cronaca

"Contratto part time ma lavoro a tempo pieno", figlia di Libero Grassi dovrà risarcire lavoratrice

La figlia dell'imprenditore ucciso dalla mafia è stata condannata dal giudice del Lavoro al pagamento di oltre 76 mila euro a un'ex impiegata che le ha fatto causa. "Sentenza esecutiva, ma difficoltà a recuperare il credito". L'avvocato della Grassi: "Pronti a fare appello"

Aveva un contratto part time ma in realtà avrebbe lavorato nell'azienda a tempo pieno e anche il sabato mattina. Per questo il giudice del Lavoro Cinzia Soffientini ha condannato Alice Grassi - figlia del noto imprenditore Libero, simbolo della ribellione al giogo del pizzo - a un risarcimento di oltre 76 mila euro nei confronti di una sua ex dipendente. Nonostante la sentenza sia esecutiva da dicembre l'imprenditrice - che ha già annunciato di voler presentare appello - non ha provveduto al pagamento della somma. Nel frattempo l'azienda, la "Spi strategie e progetti d’impresa srl" è stata messa in liquidazione.

La Spi è una società privata fondata nel 2001 con uno staff di professionisti, dagli architetti agli esperti di marketing, con l’obiettivo di seguire le imprese dalla fase iniziale dell'ideazione di un progetto e offrire tutti i servizi necessari all’avvio, compresa la fornitura di prodotti tessili d’arredo. "Mi occupavo un po’ di tutto. Lavoravo come segretaria - racconta a PalermoToday l’ex lavoratrice oggi 42enne - ma facevo anche la commessa". La causa è iniziata nel marzo 2016, dopo un periodo di malattia in cui la dipendente - che ha lavorato per 7 anni in azienda - si era trovata costretta ad allontanarsi.

"Subito dopo - aggiunge la donna - sono stata licenziata e quando ho chiesto quello che mi spettava mi è stata letteralmente chiusa la porta in faccia". Per accertare le tesi dell’impiegata, difesa dall’avvocato Marcello Montana, il giudice ha ascoltato diversi testimoni che hanno confermato la ricostruzione. Due di questi però sono stati denunciati per falsa testimonianza da Alice Grassi e le indagini, come confermato dal suo avvocato Lorenzo Dentici, sono ancora in corso: "Presto depositeremo l'appello perché riteniamo che non ci sia stata una corretta interpretazione delle risultanze istruttorie, sia per le prove testimoniali sia per quelle documentali". Alice Grassi invece ha preferito non rilasciare alcuna dichiarazione.

Una volta raccolti gli elementi necessari il giudice ha nominato un consulente tecnico che tra differenze retributive, trattamento di fine rapporto, rivalutazioni e interessi è arrivato alla somma poi messa nero su bianco: 76.239,18 euro. "La sentenza - spiega l’avvocato Montana - è stata munita di formula esecutiva il 17 dicembre scorso ma alla nostra richiesta di dare esecuzione alla sentenza inviata tramite Pec non ha risposto nessuno. Purtroppo riteniamo che avremo difficoltà a recuperare il credito poiché la società si è spogliata dell'unico bene che aveva".

Il primo tentativo verrà fatto sui conti correnti della società e poi si passerà eventualmente ai beni mobili e immobili. "Se non fosse che - spiega l'avvocato - l’unico immobile della società ormai in liquidazione, un appartamento di 8 vani in zona viale Lazio, è stato ceduto dalla stessa azienda all’architetto Alice Grassi". Da una visura ipotecaria risulta infatti che pochi mesi prima dell’avvio della causa (precisamente il 28 luglio 2015), l’imprenditrice avrebbe acquisito l’immobile per rientrare di un credito da 260 mila euro vantato nei confronti della srl di cui era socia.

Ciò perché nel tempo l’architetto avrebbe messo mano alla tasca "per anticipazioni - si legge nelle note della visura - erogate nel tempo a titolo di finanziamenti infruttiferi per far fronte alle esigenze di liquidità della società; che le continue perdite d’esercizio non hanno consentito alla società di restituire la suddetta somma; che il socio Grassi ha chiesto l’adempimento dell’obbligazione alla società, la quale non possiede liquidità sufficiente a soddisfare il credito vantato dal socio ma ha nel proprio patrimonio l’immobile si in via…".

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