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Caso chiuso

No all'insegna "Falcone e Borsellino" per la pizzeria, ristoratore tedesco perde in appello

A dare notizia della sentenza emessa in Germania è la presidente della Fondazione Falcone, sorella del giudice ucciso dalla mafia. "Ristabilito il senso del rispetto. Ci sono argomenti su cui non si può scherzare"

Nella sua pizzeria a Francoforte, non potrà utilizzare la denominazione "Falcone", né da sola né come parte di un insegna, né tantomeno sul menu o nel materiale pubblicitario. Così hanno deciso i giudici di appello tedeschi accogliendo il ricorso presentato dalla sorella del giudice ucciso dalla mafia e ribaltando la sentenza di primo grado che aveva dato ragione a Costantin Ulbrich. A darne notizia è la presidente della Fondazione Falcone: "E’ una sentenza che ristabilisce il senso del rispetto. Ci sono nomi e argomenti sui quali non è possibile ironizzare, scherzare e tantomeno - commenta Maria Falcone - speculare a fini commerciali".

La vicenda risale a circa due anni fa, quando Ulbrich aprì un’attività chiamata "Falcone e Borsellino". Su una delle pareti del ristorante erano state accostate una foto dei giudici uccisi dalla mafia e quella di don Vito Corleone del famoso film "Il padrino". Dopo aver scoperto il fatto, Maria Falcone aveva presentato ricorso per inibire al commerciante l’uso del nome ma in primo grado l’istanza era stata respinta perché, aveva scritto il tribunale, “Falcone ha operato principalmente in Italia e in Germania è noto solo a una cerchia ristretta di addetti ai lavori e non alla gente comune che frequenta la pizzeria".

Oggi invece il ricorso è stato accolto dai giudici che hanno inoltre riconosciuto come "Maria Falcone - si legge nella nota inviata dalla Fondazione - abbia una legittima pretesa al diritto alla richiesta di risarcimento in base al diritto al nome e al diritto alla personalità post mortem. ‘La violazione del diritto alla personalità post mortem del giudice Falcone da parte di atti commerciali discutibili perché contrastano con la sua vita e il suo lavoro è fondamentalmente da approvare’", scrivono infine i giudici. Nel caso in cui il ristoratore - che dopo una pioggia di critiche aveva comunque cambiato nome all'attività - non rispettasse la sentenza, rischierebbe un'ammenda fino a 250 mila euro e una condanna fino a 6 mesi.

In basso le foto pubblicate dal ristoratore su Facebook nel 2018

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