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Cronaca

Il suicidio, il massacro nel fango e i silenzi: la morte dei 2 palermitani che segnò San Patrignano

La storia della comunità, tornata alla ribalta con la docuserie su Netflix, è stata squassata dal tragico gesto di Gabriele Di Paola e poi dall'omicidio di Roberto Maranzano, episodio che causò il tramonto di Muccioli: "Mio papà è stato ucciso nel posto che avrebbe dovuto salvarlo", dice il figlio a PalermoToday

"Mio papà è stato torturato e ucciso nel posto che avrebbe dovuto salvarlo". La voce, dopo più di 30 anni, trema ancora. Lui è Giuseppe Maranzano, il figlio di Roberto Maranzano, l'ex agente di commercio palermitano massacrato nella macelleria di San Patrignano nel 1989 e "depositato" in una discarica in Campania avvolto in una coperta con il marchio della comunità romagnola. La vicenda Maranzano è il punto centrale della docu-serie su Netflix "SanPa: Luci e Tenebre di San Patrignano" che ha riportato alla ribalta la storia della comunità per tossicodipendenti. Diverse morti sospette, tra cui quelle di due palermitani. La narrazione è glaciale, all'apparenza oggettiva, e scorre fluida tra filmati d'epoca e le interviste agli ospiti di San Patrignano. Ma quello che viene fuori invita a riflettere e probabilmente Muccioli ne esce a pezzi.

L'omicidio di Maranzano ha segnato il tramonto del santone romagnolo. Uomo venerato come un dio in terra e oltraggiato come un criminale pericoloso. Santo, per le famiglie che vedevano in lui l'unica speranza per strappare i figli dai guai, ma considerato anche truffatore e megalomane. Fare del male per fare del bene? Gli interrogativi che ruotano attorno alla storia di San Patrignano restano tanti. Un impero costruito - anche - sulla violenza che crolla dopo l'omicidio dell'agente palermitano. Un delitto per cui vennero condannati tre ospiti della comunità. Di cui uno con ruolo di responsabile. La serie - trasmessa in 190 Paesi nel mondo - racconta che Muccioli sapeva, e che scelse di non denunciare. Tanto che alla fine venne incriminato e condannato per favoreggiamento. 

Che cos'era all'epoca San Patrignano

La comunità fu fondata alla fine degli anni Settanta in un podere di Coriano, nel quale Muccioli originariamente si era trasferito da Rimini, dove rimase la sua famiglia, per dedicarsi soprattutto all'allevamento di pregiate razze di cane. Il podere era un dono della famiglia della moglie di Muccioli. La storia di San Patrignano come comunità di recupero per fornire "assistenza gratuita ai tossicodipendenti ed agli emarginati" inizia nel 1978. In quegli anni l'eroina stava iniziando a diffondersi tra i giovani italiani, con conseguenze spesso devastanti per chi ne faceva uso. Anche se esiste ancora oggi, la comunità di San Patrignano non è mai tornata ad avere un numero di ospiti paragonabile a quello degli anni '80, quando arrivò ad avere oltre un migliaio di persone.

Le violenze nella collina dei misteri

Ben prima che scoppiasse il caso dell'omicidio Maranzano il sistema San Patrignano era già stato messo a dura prova dal suicidio di Gabriele Di Paola, 22 anni, un altro palermitano. Il ragazzo si era lanciato nel vuoto in una domenica di fine inverno del 1989 sconvolgendo la quiete (apparente) di San Patrignano dove fino ad allora non era mai morto nessuno. Una struttura dai metodi brutali, dove il fine ultimo - quello del recupero - era perseguito senza rispetto per i diritti di chi, volente o nolente, vi approdava. Quel suicidio rompe un incantesimo. "Non sarà mai più come prima qui", profetizza un giovane davanti ai microfoni dei giornalisti saliti sulla "collina dei misteri" dopo il suicidio di De Paola.

Il ritrovamento del corpo di Maranzano

roberto maranzano-2Aveva ragione. Non sono passati neanche due mesi - è il 7 maggio '89 - quando viene trovato il corpo senza vita di Roberto Maranzano. Si trova in una discarica vicino Napoli. E' stato pestato a sangue, si pensa al culmine di una lite tra tossici. C'è anche il figlio, Giuseppe Maranzano, tra le voci della docu-serie di Netflix. Oggi ha 41 anni. E' stato intervistato da PalermoToday. La sua è una cicatrice che non si è mai chiusa. "Le cose sono andate così: un contadino trovò il corpo di mio padre a Terzigno. I carabinieri si accorsero che era avvolto in una coperta di San Patrignano. Una volta avvertiti, i vertici della comunità confermarono che papà era un loro ospite che era semplicemente scappato e che non sapevano che fine avesse fatto. Esprimendo il rammarico per la sua morte dissero anche - per cercare di allontanare gli occhi da San Patrignano - che mio padre aveva fatto questa fine per uno scambio di droga che evidentemente si era concluso nel peggiore dei modi. E in effetti i carabinieri non riscontrarono nulla di strano. Gli fu trovata eroina in corpo. Eroina che gli venne iniettata per favorire il depistaggio. Così presero per vera la versione data da Muccioli e chiusero il caso. Tanto mio padre era un tossico, quindi chi se ne fregava? Era morto, basta. Tutto finito. C'era però qualcosa di strano. Papà è sempre stato un tipo molto tranquillo. Nonostante facesse uso di eroina lui aveva sempre continuato a lavorare. Era una persona pacata, faceva l'agente di commercio prima di entrare a San Patrignano. E quando ha capito che non poteva continuare a fare una vita normale ha deciso di disintossicarsi perché amava veramente tanto i suoi figli. Entrò in comunità nel 1988. L'anno dopo scappò. Poi ricevemmo quella tragica telefonata scoprendo che era stato trovato morto vicino Napoli".

La confessione del pentito

Sembra una storia sepolta e archiviata. Quattro anni dopo però c'è il colpo di scena. Nel 1993 un giovane tossicodipendente, Luciano Lorandi, ospite della comunità che lavorava in macelleria e aveva assistito all'omicidio, si libera di questo peso e racconta tutto a un operatore. Viene avvertita la Procura di Rimini che decide di riaprire l'inchiesta. Lorandi descrive la macelleria come un reparto punitivo dove nessuno può uscire o comunicare senza il permesso del responsabile, Alfio Russo, il picchiatore di San Patrignano. Una figura che terrorizzava gli ospiti. "Se non ci fosse stato questo 'pentito' io non avrei mai saputo, anche a distanza di 30 anni, come era morto mio padre".

Le ombre sul sistema Muccioli

Questa vicenda getta inquietanti ombre sul sistema Muccioli. Per fare del bene a chi sta male puoi usare qualunque metodo? Sta tutto in questa domanda il nocciolo della questione San Patrignano. Violenze e punizioni come terapia di recupero. E dire che Muccioli era già finito nei guai nel cuore degli anni Ottanta, per sequestro di persona e maltrattamenti per avere incatenato alcuni giovani della comunità. Una vicenda passata alla storia come il "processo delle catene". L'imprenditore romagnolo ne esce pulito ma ora si trova di fronte un'altra montagna giudiziaria. Il caso Maranzano divampa in tutta Italia. Con gli occhi dell'opinione pubblica puntati addosso si spezza l'equilibrio che dura da quasi 15 anni. Circa 250 ospiti della comunità decidono di andarsene.

Chi era Roberto Maranzano

Roberto Maranzano aveva 36 anni, era un palermitano della zona di via Terrasanta, che poi si era trasferito in zona Fiera. "Una persona perbene, colta, un gran lavoratore e sempre con il sorriso", racconta oggi chi lo conosce bene. Completamente fuori dagli ambienti malavitosi palermitani, Maranzano era un agente di commercio, sposato, con due figli. Improvvisamente cade nella trappola di eroina. Era la Palermo degli anni Ottanta, all'epoca invasa dalla droga. Nel 1988 si reca in una clinica palermitana per disintossicarsi. Poi il 30 giugno prende l'aereo e si fa accompagnare a San Patrignano. Cerca la rinascita, trova la morte. "Da quando mio padre entrò là dentro ricordo solo un paio di telefonate. L'ultima a Natale per gli auguri".

Le scosse e lo strangolamento: così è morto Maranzano

Di Maranzano, nella docu-serie Muccioli dice: "Era un ragazzo che era già scappato dalla comunità, poi era tornato. Abbiamo capito che non era il caso di mandarlo fuori perché non si comportava bene. L'ho spostato nel settore della macelleria, un settore molto ridotto". Ma cosa ha scatenato là dentro il pestaggio? "Sanpa" ricostruisce le fasi della violenza. Si ipotizza che Alfio Russo avesse ordinato a Maranzano di compiere un lavoro. Poi al suo rifiuto sarebbe partita la brutale aggressione con la partecipazione di altre persone. Una specie di condanna a morte. Non un eccesso di punizione, ma l'esecuzione di una pena esemplare. Da quel pestaggio il palermitano ne esce malconcio, si muove a fatica. Russo a quel punto lo fa riposare un giorno intero in dormitorio. Ma non è finita. Dopo ordina ai suoi collaboratori di farlo scendere per far riprendere il lavoro in macelleria e di fargli scaricare un sacco di mangime di 30 chili. Quando gli appoggiano il primo sacco però Maranzano crolla a terra. Russo, preso da una sorta di delirio persecutorio, pesta ancora Maranzano. "Mio padre è stato picchiato violentemente, messo sotto la doccia con le costole rotte e puntellato con l'aggeggio che dà le scosse elettriche ai maiali". Percosse che culminano con lo strangolamento compiuto da Russo, il capo del reparto, un tipo molto corpulento che - in piedi - monta sul collo del palermitano spezzandogli le vertebre. "Lo avevano ridotto male mio padre. Aveva segni di bruciature in tutto il corpo. Io ho visto queste foto e mi trema ancora la voce. E Muccioli? Quando poi davanti all'evidenza fu costretto a confermare che anche lui sapeva, disse di avere tenuto nascosto tutto per un patto di segretezza e non rovinare la sua creatura".  

L'autista palermitano che portò il cadavere a Napoli

Viene fuori che quello non fu un incidente, ma la conclusione di un'impressionante sequenza di violenze. A portare il corpo senza vita di Maranzano a Napoli sono Ezio Persico e Giuseppe Lupo, anche lui palermitano: era senza patente, eppure viene designato come autista. Quando la storia viene fuori Lupo si trova già in carcere per una rapina, dopo essere stato per due anni nella comunità di Muccioli. Quelle botte a Maranzano se le ricorda bene anche se sostiene di non aver partecipato al pestaggio.

La cassetta misteriosa

Nella vicenda dell'omicidio Maranzano entra anche una misteriosa cassetta. Quella dell'intercettazione di Muccioli, che parlando di un ospite che sapeva come erano andate le cose, dice al suo autista (che nel frattempo sta registrando): "A quello lì bisogna sparargli... due grammi di eroina, un po' di stricnina". "Pensavamo che quella cassetta potesse essere il colpo di grazia per Muccioli - dice Giuseppe Maranzano - e invece non è stato così. Lui disse che quelle parole gli furono estorte mentre era in dormiveglia". Il risultato è quella cassetta non ha rilevanza penale.

Il suicidio del ragazzo palermitano

Durante gli anni del processo, un ex dipendente di San Patrignano, presentandosi volontariamente al commissariato di polizia, dichiara di aver ricoperto per anni il ruolo preposto al recupero e pestaggio dei fuggitivi. Viene dato risalto anche ad alcuni misteriosi suicidi, come quelli di Natalia Berla e appunto del palermitano Gabriele Di Paola, avvenuti nella primavera dell'89, e quello di Fioralba Petrucci, risalente al giugno 1992. Tutte e tre le persone si sarebbero suicidate mentre si trovavano in clausura punitiva all'interno della comunità, gettandosi dalle finestre delle stanze in cui erano chiusi. Di Paola si uccide il 12 marzo 1989. Neanche 24 ore dopo anche Natalia Berla si lancia nel vuoto. Sono forse gesti di ribellione. Modi per dire: non è vero che qui tutto va bene. Gabriele Di Paola si toglie la vita dopo essersi fatto la doccia e prima di andare a messa, sotto gli occhi atterriti dei suoi due compagni di stanza. Era a San Patrignano solo da qualche settimana. Muccioli l'aveva conosciuto a Palermo, alle spalle aveva una storia drammatica: appena 3 anni prima - quand'era militare a Roma - aveva visto morire sotto i propri occhi il fratello Sandro. Gabriele era un tipo religioso, sembrava tranquillo quel giorno. "Si era addirittura spalmato la crema abbronzante - si legge in un articolo dell'epoca di Repubblica -. Poi è saltato giù, durante il volo è riuscito a gridare 'No'. Ha cercato di aggrapparsi a dei fili della biancheria, ma non c' è stato nulla da fare. I suoi genitori sono venuti da Palermo a riprendersi questo secondo figlio sfortunato".

Il processo delle catene

Perché a San Patrignano si rinasceva ma a volte succedeva anche che si moriva. Il metodo Muccioli, a distanza di tanti anni, fa ancora affiorare pesanti interrogativi. Già emersi col famoso processo delle catene di metà anni Ottanta. Qual è il limite di una terapia? L'opinione pubblica e i giudici si dividono. "In quel processo Muccioli, dopo la prima condanna, ottenne l'assoluzione - dice ancora Maranzano a PalermoToday - e questo fece in modo che si sentì in diritto di poter fare tutto quello che volesse sfruttando anche il vuoto dello Stato e il momento particolare. All'epoca comunità ce ne erano poche. la tossicodipendenza era una piaga che stava dilagando, pochi sapevano come trattare la dipendenza e lo Stato si girava dall'altra parte. Paradossalmente dal processo delle catene Muccioli ne esce vincitore, la vicenda dà un enorme risalto a San Patrignano e da lì diventa un vip. I genitori disperati volevano i figli incatenati. Muccioli poi ha sempre avuto il sostegno della famiglia Moratti (Gian Marco e Letizia) e di altri personaggi potenti, anche dello spettacolo. Era diventato mito ed eroe. Gli venne concessa la possibilità di potere usare metodi coercitivi violando i diritti dell'essere umano e le leggi dello Stato. Muccioli coltivava l'aspirazione di creare un piccolo Stato a se stante che si gestisce con regole sue. Quel posto ti toglieva la dipendenza ma creava la dipendenza dalla comunità con metodi discutibili. E tutti quei numeri che informavano l'opinione sui dati di recupero erano privi di riscontri scientifici. Le ricerche erano commissionate e pagate da San Patrignano".

La morte di Muccioli

Muccioli viene assolto per il processo delle catene ma condannato per il caso Maranzano: 8 mesi per favoreggiamento. La vicenda lo colpisce nel profondo. Dopo quei fatti il fondatore di San Patrignano entra in una spirale di profonda depressione che lo porterà alla morte nel settembre del ‘95, a soli 61 anni. E anche sul suo epilogo ci sono tesi contrastanti. Si parla di omosessualità e dell'Aids contratto da un ragazzo tossicodipendente. "Finalmente su questa storia, grazie a questa docu-serie, qualcuno ha sentito anche la nostra campana - chiude Giuseppe Maranzano -. Molte cose non sono mai state detto se non nel periodo del processo. Abbiamo assistito sempre a degli spot a favore di San Patrignano per far vedere solo il bello. Noi in questi anni anche con l'aiuto degli ex ospiti  abbiamo raccolto del materiale e l'abbiamo pubblicato sul sito https://www.lamappaperduta.com/ ci siamo sempre battuti per far emergere quello che è successo. Loro hanno sempre goduto della protezione dei potenti. Muccioli era un megalomane, a cui per tantissimo tempo è stato concesso tutto". Da qualche giorno, in 190 paesi, il guru romagnolo è anche questo.

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