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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

La grande crisi di Cosa nostra: "Sfrutta il bisogno e offre assistenza per riprendere il potere"

Nella relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario viene delineato lo "stato di salute" delle cosche. "Vertici decapitati e difficoltà a imporre il pizzo, i boss oggi puntano su servizi sociali e feste di quartiere". Se tutti denunciassero il racket "l'organizzazione criminale imploderebbe"

Cosa nostra palermitana sta attraversando "probabilmente la più grave crisi nella sua storia". E questo, come emerge dalla relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario (la cerimonia si è svolta stamattina al Palazzo di giustizia), è il frutto delle "costanti e pressanti attività cautelari e processuali" messe in atto dalla Procura diretta da Francesco Lo Voi e dalla Dda coordinata dall'aggiunto Salvatore De Luca. Non vuol dire, però, che la mafia non esista più o che sia meno temibile: non va mai sottovalutata, dicono gli inquirenti, perché se è vero che non spara e non uccide (fatta eccezione per il territorio di Belmonte Mezzagno), è anche vero che ogni boss che torna in libertà "ricomincia la sua attività il giorno stesso della scarcerazione". Per recuperare terreno, inoltre, l'organizzazione criminale sta "intensificando le attività 'sociali' e 'assistenziali'". In un momento di grande crisi e di bisogno, cioè, fornisce "servizi" che lo Stato non sempre è in grado di garantire.

Lo "stato di salute" di Cosa nostra palermitana

Nella relazione del presidente della Corte d'Appello, Matteo Frasca, come sempre si fa il punto sullo "stato di salute" di Cosa nostra. I sofisticati strumenti di indagine e la grande attenzione da parte di carabinieri, polizia e guardia di finanza hanno fatto sì che, a dicembre del 2018 con il blitz "Cupola 2.0", venisse addirittura sventato un nuovo tentativo di ricostituire la Commissione provinciale quasi in tempo reale. E' un dato che dimostra come i boss siano in estrema difficoltà e come lo Stato sia obiettivamente ben attrezzato. Non si può parlare (ancora) di annientamento delle cosche, ma certamente non si può dire che, nel duro scontro, sia in vantaggio o abbia vinto la mafia. D'altra parte - come ha raccontato PalermoToday - è un boss dello spessore di Giulio Caporrimo che è stato intercettato (per giunta parlando da solo) mentre diceva che "ormai Cosa nostra è immondizia organizzata".

"Decapitati tutti i vertici"

Dopo "Cupola 2.0" "non vi è, allo stato attuale, alcuna traccia di un tentativo di ricostituzione della Commissione provinciale di Cosa nostra; del resto - si legge nella relazione, che si sofferma sul periodo tra luglio 2019 e luglio scorso - tenuto conto del duro colpo subito e della 'decapitazione' di tutti i principali mandamenti mafiosi, sarebbe sorprendente il contrario. In mancanza di un organismo idoneo a regolare i più delicati rapporti intermandamentali, le eventuali questioni vengono risolte mediante colloqui bilaterali fra mandamenti interessati. Non sembra, inoltre, che venga applicata la regola, che la nuova Commissione voleva ripristinare rigorosamente, secondo cui tali questioni possano essere oggetto esclusivamente dei contatti tra capi mandamento".

La "confusione" tra le cosche

Per gli inquirenti dunque "permane la 'confusione' alla quale la Cupola voleva porre fine". Certe vecchie spaccature sono state però superate ("si deve confermare che è stata definitivamente superata la frattura, sino a poco tempo fa ritenuta incolmabile, tra 'corleonesi' e 'perdenti'"), anche in seguito alla morte di Totò Riina, e "permane una situazione 'palermocentrica', nell'ambito della quale i mandamenti mafiosi più potenti sono ancora quelli di Pagliarelli, Porta Nuova, Ciaculli-Brancaccio e Villagrazia-Santa Maria di Gesù". Inoltre, "non emerge alcuna modifica circa la geografia mandamentale, fatta eccezione per i quartiere di Ciaculli e Villagrazia, che adesso fanno mandamento al posto, rispettivamente di Brancaccio e Santa Maria di Gesù".

La "pressione costante" degli investigatori

Tutto questo è il risultato delle "costanti e pressanti attività cautelari e processuali" che "hanno generato, probabilmente, la più grave crisi mai attraversata nella sua storia dalla Cosa nostra palermitana con riferimento alla mafia territoriale/militare". Ma, si legge ancora nella relazione, "l'efficacia del contrasto sarebbe notevolmente incrementata se i tempi di decisione del gip non fossero, soprattutto per carenza di magistrati e personale amministrativo, eccessivamente dilatati". In altri termini, per problemi di organico che si trascinano da diversi anni nell'ufficio del giudice per le indagini preliminari, passa troppo tempo tra una richiesta di arresto e la sua effettiva esecuzione.

Appena liberi i boss ritornano alle loro attività

Nonostante gli ottimi risultati raggiunti dagli investigatori, non bisogna però illudersi: "L'associazione continua a manifestare un'elevatissima resilienza ed una ostinata volontà di riorganizzarsi subito dopo ogni attività. La quasi totalità degli 'uomini d'onore' che ha scontato una lunga pena detentiva, ricomincia a pieno ritmo la sua attività nell'ambito dell'associazione mafiosa, il giorno stesso della scarcerazione pur avendo la quasi certezza di andare incontro ad una nuova pena detentiva". Proprio per questo, dicono gli inquirenti, "è importante che la situazione mafiosa palermitana non venga mai sottovalutata, mantenendo elevata l'attenzione dello Stato nei confronti del fenomeno criminale".

"Se tutti denunciassero il pizzo la mafia imploderebbe"

Per quanto riguarda le attività svolte dai boss "la 'messa a posto' continua a rientrare nel Dna di Cosa nostra", anche se dai dati le estorsioni sono in calo (probabilmente per via delle restrizioni legate alla pandemia) e i clan sono sempre più guardinghi. Temono che imprenditori e commercianti possano denunciare le richieste di pizzo. Un atteggiamento inimmaginabile solo fino a qualche anno fa. Il racket, come imposizione del controllo di Cosa nostra sul territorio, è così importante che "se venisse meno si verificherebbe in breve tempo l'implosione dell'intera associazione criminale".

Il "welfare" per imporre il potere dei clan

Da sempre i boss si sono interessati di risolvere ogni sorta di problema, anche il più spicciolo (come litigi famigliari, sfratti ecc.), ma questa tendenza "sociale" negli ultimi tempi - caratterizzati da una grave crisi economica e ora anche sanitaria - si è fortemente accentuata. I clan ricavano "potere dalla risoluzione delle problematiche più varie", ma anche, per esempio, dal "pieno controllo delle feste di quartiere, occupandosi dell'ingaggio dei cantanti neomelodici per le manifestazioni". Come è emerso poi da un'inchiesta recente, i mafiosi si sono occupati persino della "risoluzione di contrasti tra ultas del Palermo". Proprio per cercare di recuperare consenso, quindi, le cosche hanno "intensificato le attività 'sociali' e 'assistenziali'".

Droga, slot e denaro sporco ripulito in Lazio ed Emilia Romagna

La relazione mette in evidenza anche una "notevole riduzione del numero di omicidi: negli ultimi tre anni non si sono consumati omicidi mafiosi, fatta eccezione per il territorio della famiglia di Belmonte Mezzagno (tre omicidi e uno tentato)" e tutte le attività economiche hanno subito "un brusco arresto", nel caso del traffico di droga "solo un rallentamento" per via della pandemia. Subito dopo l'allentamento delle misure di contenimento imposte tra marzo e maggio scorsi, sono però "riprese a pieno ritmo". La prima fonte di guadagno per Cosa nostra resta la droga, seguono le estorsioni e, infine, il business sempre più fiorente delle slot e scommesse on line, dicono gli inquirenti. Come è già emerso da qualche anno, le "zone privilegiate per ripulire" denaro sporco, non si trovano più solo all'estero, ma anche in altre regioni d'Italia, in particolare il Lazio e l'Emilia Romagna.

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