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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Al via l'appello per la trattativa Stato-mafia, la difesa di Mori: "Nessuna minaccia allo Stato"

Si torna in aula a un anno dalla sentenza di primo grado. L'ex capo del Ros, il generale Mario Mori, era stato condannato a 12 anni di carcere mentre il capitano Giuseppe De Donno a 8 anni. Il difensore di Dell'Utri indica l'ex premier Berlusconi come teste

A un anno dalla sentenza di primo grado del processo sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia, prende il via domani il processo d'appello che vede ancora alla sbarra, tra gli altri, l'ex capo del Ros, il generale Mario Mori che in primo grado venne condannato a 12 anni di carcere, come il capitano Giuseppe De Donno, a 8 anni. La difesa dei due ufficiali, in vista dell'appello, rilancia. Dieci i punti su cui si concentreranno i legali secondo quanto anticipato dall'Adnkronos.  

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Secondo quanto anticipa l'Adnkronos la difesa del generale Mori punta sugli aspetti "più controversi", del processo. Si inizia dalla mancata proroga dei 41 bis, cioè il carcere duro, per un gruppo di detenuti accusati di mafia. Per Mori e per i suoi difensori un dato incontrovertibile dimostra che le mancate proroghe dei 41 bis, operate da Conso nel novembre 1993, non furono dovute ad alcuna "trattativa". Il reato contestato al generale Mario Mori e al capitano De Donno è quello di minaccia a corpo politico dello Stato, quindi al Governo. In primo grado la difesa aveva posto a tutti i testi che all'epoca ricoprivano incarichi istituzionali e di Governo, da Giuliano Amato a Luciano Violante, da Claudio Martelli al Prefetto Gianni De Gennaro, "quindi le asserite vittime", la stessa domanda: "Avete ricevuto minacce dal capitano De Donno o dal generale Mori?". Le risposte di tutti i testi, fanno presente i difensori, si sono concretizzate in una serie di "No".

Al secondo punto della difesa il ruolo del padre del "superteste" Massimo Ciancimino che, non avrebbe parlato "né di asserite 'spaccature' tra i boss Riina e Provenzano, né in occasione degli incontri con gli ufficiali del Ros, né negli interrogatori resi nel 1993 ai dottori Caselli ed Ingroia e prodotti dalla difesa dei Carabinieri". 

Per i legali di Mario Mori poi "le prove acquisite sono tutte contrarie alla tesi" secondo cui la strage Borsellino sarebbe stata accelerata dalla trattativa. 

E ancora gli avvocati intendono smentire la tesi della "doppia refertazione" del dossier su "mafia e appalti", indagine avviata dai carabinieri del Ros nel 1989 sotto la direzione del giudice Falcone. Secondo la Procura, i carabinieri del Ros avrebbero consegnato, nel 1991, alla Procura di Palermo un'informativa nella quale non vi erano le intercettazioni dalle quali emergevano i nomi dei politici. L'informativa completa, comprensiva anche dei riferimenti ai politici sarebbe stata consegnata, tempo dopo, e dopo l'uccisione del dottor Borsellino, alla Procura di Catania". 

La difesa del generale Mario Mori e del capitano Giuseppe De Donno ricorda poi le dichiarazioni del pentito Giovanni Brusca: "Perfino Brusca, cioè la 'parte mafiosa', ha affermato che i carabinieri li avevano presi 'in giro. Ma quelli avevano fatto solo e semplicemente il loro lavoro, gli investigatori' come disse il pentito in un'udienza il 12 dicembre 2013. Stupisce come si possa affermare l'esistenza di una 'trattativa' ed, altresì, l'esistenza di un accordo". Altri spunti della difesa del generale Mario Mori riguardano la sostituzione ai vertici del Dap tra Nicolò Amato e Adalberto Capriotti, avvenuta nel giugno 1993. Vicenda nella quale, per i legali, Mori non ebbe alcun ruolo.

In primo grado è stato condannato a 12 anni l'ex senatore Marcello Dell'Utri. La difesa adesso cita come teste l'ex premier Silvio Berlusconi che potrebbe, se il collegio giudicante accoglierà la richiesta, essere chiamato in aula. L'ex senatore forzista sta scontando la pena in via definitiva a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Nell'atto di impugnazione, depositato dal legale di Dell'Utri, Francesco Centonze, si dà atto che nelle motivazioni della sentenza si dice che Berlusconi pagò Cosa nostra fino al 1994, "vittima" della minaccia stragista rivolta da Cosa nostra allo Stato per il tramite di Dell'Utri ma si ravvisa il dato che lo stesso ex premier non è stato sentito al processo né durante le indagini. Questa circostanza, per la difesa Dell'Utri, va sanata essendo l'esame di Berlusconi "una logica conseguenza dalla qualifica di persona offesa attribuita al medesimo nella sentenza impugnata in quanto destinatario finale della 'pressione o dei tentativi di pressione' di Cosa nostra". 

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