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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca

Processo Saguto, la difesa: "In primo grado assoluzione dalla maggior parte delle accuse"

A Caltanissetta l'appello a carico dell'ex presidente della sezione Misure di prevenzione accusata di corruzione e abuso d'ufficio e condannata in primo grado a otto anni e mezzo. Il legale: "Discussione mediatica, ma mai una segnalazione al Csm"

"La sentenza di primo grado ha assolto la mia assistita dalla stragrande maggioranza dei capi di imputazione, per i due terzi dei capi di imputazione. Una sentenza che ha una sua connotazione di approfondita conoscenza degli atti, di ricostruzione del fatto. Esprimo la mia stima incondizionata per i magistrati del tribunale, un patrimonio morale di arricchimento". Con queste parole l'avvocato Ninni Reina, legale dell'ex giudice Silvana Saguto, ha iniziato la sua arringa difensiva nel processo d'appello che si celebra davanti alla Corte d'appello di Caltanissetta, all'aula bunker del carcere Malaspina. L'ex magistrata, pantalone e maglione marrone con una collana lunga, oggi era in aula, per la prima volta dall'inizio del processo di secondo grado. Con lei anche il marito, Lorenzo Caramma e il figlio Emanuele Caramma, tutti imputati. Saguto è imputata per corruzione e abuso d'ufficio per avere, secondo l'accusa, organizzato, quando era a capo della sezione Misure di prevenzione del Tribunale, un 'sistema' per la gestione dei beni sequestrati e confiscati. Al termine della requisitoria, nella scorsa udienza, la pm Claudia Pasciuti, che per l'occasione è stata applicata alla Procura generale, ha chiesto la condanna a dieci anni di carcere, dunque un anno e mezzo più del primo grado, per l'ex giudice. In primo grado l'ex magistrata, nel frattempo radiata dall'ordine giudiziario, venne condannata a otto anni e mezzo di reclusione. Ma i giudici non ritennero l'ex magistrata colpevole di associazione a delinquere. Mentre l'accusa, con la pm Pasciuti, durante la requisitoria ha ribadito che "l'associazione c'era" tra "Saguto, il marito Lorenzo Caramma e l'avvocato Cappellano Seminara".

L'avvocato Reina ha ribadito più volte che c'è stata una grande "discussione mediatica" nel processo su Saguto. "Nel maggio del 2015 c'e stata la prima trasmissione mediatica dove il punto era se fosse giusto, dal punto di vista sociale, che il marito di un magistrato abbia incarichi di coadiutore di un amministratore giudiziario, questo è il punto? Si parla di 'mercimonio della funzione' perché il marito di un magistrato è amministratore giudiziario, questo è l'incipit di tutta la vicenda". E ha proseguito: "La difesa è stata impegnata dall'inizio su quale fattispecie di reato c'è se una amministrazione non palermitana indica come coadiutore amministratore, dove c'è l'esigenza di una certa trasparenza di persone, il marito di un giudice delegato. Quale illecito penale compio, dover dire a mio marito che non può farlo? L'unica misura che era a Palermo era la misura Buttitta che risaliva 2008, affidata all'avvocato Cappellano Seminara da altri magistrati e la Saguto non ci ha mai messo mano". E ancora: "Nonostante il Csm, il Presidente del Tribunale e il Presidente della Corte d'appello avessero ricevuto tutti i dati numerici non è che si è iniziato un procedimento disciplinare o una segnalazione al Consiglio giudiziario per ritenere che era un illecito penale". E aggiunge: "Non è mai stata fatta una segnalazione. L'unica sollecitazione intervenuta è stata 'fallo dimettere a tuo marito' ".

Nel corso dell'arringa ha preso parola anche l'avvocato Giuseppe Dacquì, che difende l'ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo, imputata per concussione morale.  Secondo l'accusa, nel 2015 avrebbe chiesto a Saguto, sua grande amica all'epoca, di dare un incarico a Richard Scammacca, nipote dell'ex prefetto di Messina. Ci sono delle intercettazioni di quei giorni. "Silvana Saguto non ha mai costretto l'amministratore giudiziario Alessandro Scimeca ad assumere Richard Scammacca" nel bene sequestrato Abbazia Sant'Anastasia. "Scimeca non era il maggiordomo della dottoressa Saguto", ha detto Dacquì. "Saguto dice: 'A me non me ne frega niente di Richard è per lo zio - spiega il legale - cioè, il prefetto Scammacca e lì muore la richiesta, non troverete nessun atto di intervento da parte di nessuno per sollecitare questa richiesta". L'ex prefetta di Palermo Cannizzo venne condannata in primo grado a tre anni e la Procura generale ha chiesto la conferma della condanna.

"E' importante contestualizzare il momento - ha proseguito l'avvocato Dacquì - Francesca Cannizzo venne nominata nel 2013 prefetta di Palermo. E Silvana Saguto era in quel momento un simbolo per lo Stato e veniva minacciata di morte, era nel mirino della mafia. Spesso prendeva posto sulla macchina della Cannizzo perché in questo modo la prefetta voleva rappresentare la presenza dello Stato. Quanti magistrati erano stati lasciati soli, come Falcone, ad esempio? Cannizzo per farsi portavoce dello Stato voleva dimostrare anche fisicamente la sua vicinanza a Saguto, minacciata di morte".

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