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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Dal cancro alla sedia a rotelle, i giorni difficili dell'ex pugile Pino Leto: "Vi racconto il mio dramma"

I tormenti del "re della Vucciria", otto volte campione italiano di boxe negli anni Ottanta (oltre a un titolo europeo), affidati a PalermoToday: "Giro tra gli ospedali di Palermo per le varie patologie che mi non mi danno tregua"

A Palermo c'è un detto inossidabile, quando qualcuno rimanda sempre ciò che deve fare e qualcun altro invece gli chiede sempre quando lo farà. Il detto è questo: "Lo farò quando si asciugano le balate della Vucciria". Lui, Pino Leto, uno dei simboli del quartiere storico del centro palermitano, è come quelle balate. Duro, impossibile da scalfire, bagnato dal sangue delle ferite. Sono tante nel suo corpo da pugile in pensione. Pino Leto, classe 1957, è stato otto volte campione italiano di boxe. Ma nella sua carriera c'è soprattutto il titolo di campione europeo dei pesi superwelter nel 1989.

Aveva 33 anni il "re della Vucciria" quando mandò al tappeto Edip Sekowitsch, L'Ivan Drago jugoslavo steso a colpi di destri. Poi sono arrivate le cicatrici della vita. Una dopo l'altra. Oggi Leto ha 65 anni. "E da più di tre faccio il girovago per gli ospedali di Palermo per le varie patologie che mi tormentano". Esordisce così, a PalermoToday, l'ex pugile in quello che è uno sfogo dai contorni drammatici.

"Tempo fa - dice Leto - ho subito alcuni controlli alla schiena, che cominciava a farmi parecchio male e le radiografie hanno evidenziato l'esistenza di sette ernie. Da lì una lunga serie di esami, una tempesta durata un anno, fatta di radiazioni continue, risonanze e Tac. Ultimati i controlli mi ero preparato all'operazione ma all'improvviso hanno scoperto che avevo un cancro alle corde vocali. Ho cominciato questa guerra con questo terribile avversario invisibile. Cicli di chemioterapia (una è durata più di otto ore) e radioterapia che mi hanno costretto a lunghi digiuni per lo stato pietoso del mio apparato deglutitorio: anche bere l'acqua per me era come bere acido solforico. Tutto questo  mi è costato più di un anno di lotte interne ed esterne".

La leggenda palermitana della boxe però, come faceva quando duellava sul ring, non ha mai gettato la spugna. "In ospedale mi hanno dato prima per finito, e poi per miracolato. A un certo mi hanno detto che potevo tornare a casa, ma ahimè in certi contesti sociali cosiddetti a rischio, lo Stato (e con esso i dovuti controlli come avvengono nei quartieri bene) non ci entra. Così, per colpa di 'animali' senza mascherine né vaccini o alcuna protezione, con i miei anticorpi ridotti a quasi zero dalla chemioterapia, mi sono buscato il Covid in modo virulento. Sono arrivato in ospedale che mi rimaneva solo qualche ora di vita. Poi l'ossigeno con il casco pressurizzato, flebo e terapia intensiva per più di una settimana. Ci sono voluti 48 giorni di ricovero per sconfiggere quasi del tutto il maledetto cancro. Mi sono portato addosso 'solo' l'embolia ai polmoni, anche questa in via di guarigione. Sentivo nello spirito di poter lottare ancora con le ernie che mi impedivano movimenti sciolti, così mi hanno portato da un grande specialista che grazie a delle punture sulla colonna vertebrale e su un gluteo mi hanno quasi portato a ricominciare a correre. Dire che ero felice è dire poco".

Sembrava la svolta e invece di lì a poco tutto è precipitato di nuovo. "Altro ciclo di punture, ne sentii una molto più dolorosa delle altre. Da lì a poche ore ricominciarono i miei guai. Dolore all'anca, al femore, al bacino. Non potevo né sedermi, né tantomeno coricarmi. Dopo giorni di sofferenza con dolori lancinanti, è arrivato l'ennesimo ricovero".

Ormai sono passati dieci giorni. Siamo arrivati a oggi. E Pino Leto sospira: "Ancora si brancola nel buio, non riescono a dare una prognosi al mio caso, ma ci sono cose che mi fanno ben sperare, come vedere i potenti mezzi messi a disposizione degli operatori sanitari, che si fanno in quattro per arrivare a tutto, mentre loro devono arrangiarsi alla meno peggio. Un esempio è la carrozzina che mi hanno dato per trasferirmi in Radiologia, che nel tragitto si è frantumata. Mancano perfino i cuscini, ho dovuto dire a mia moglie di portarmene uno da casa. Questa è la situazione che ho notato in quasi tutti gli ospedali palermitani". Sullo sfondo ci sono sempre i progetti futuri, la boxe, la Vucciria e quella scuola-palestra per strappare i giovani ai pericoli della strada: "Adesso voglio guarire e tornare dai miei ragazzi". E ricominciare a vivere calpestando le balate della sua Vucciria.

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